Roberto Rosso, assessore della giunta regionale piemontese con la delega alla Semplificazione, Affari legali e Contenzioso, è una delle prime vittime della nuova formulazione del reato di voto di scambio politico-mafioso, introdotto la scorsa primavera. Rosso, forzista della prima ora, da un anno in quota Fratelli d'Italia, secondo la Procura di Torino avrebbe chiesto voti ai clan calabresi per essere eletto alle elezioni regionali del 26 maggio, vinte dal centrodestra. Le cosche gli avrebbero chiesto quindicimila euro in cambio della promessa di un "pacchetto" di preferenze, lui ne avrebbe pagati una prima tranche da 7.900 euro. Nei suoi confronti è scattata una misura di custodia cautelare in carcere. La nuova formulazione del 416 ter, voluta dal M5s, inasprisce le pene (è prevista la reclusione da 10 a 15 anni) per i politici accusati di aver siglato accordi elettorali con esponenti mafiosi.Se colui che ha accettato la promessa di voti risulta poi effettivamente eletto, la pena viene aumentata della metà. In caso di condanna, inoltre, segue l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. E sanzionata, poi, la condotta di chi offre «la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze della associazione mafiosa», con la previsione della sanzione anche nel caso che la promessa di voti provenga da non meglio specificati «soggetti appartenenti alle associazioni«mafiose. In molti hanno, però, già sottolineato che la genericità della fattispecie così formulata lascerà ampia discrezionalità al magistrato. Concetto ribadito, in senso positivo, durante la discussione in Aula da parte del pentastellato Andrea Colletti, secondo cui «tutte le norme devono essere in un certo senso vaghe» perché possano essere interpretate dalla giurisprudenza sia in maniera estensiva sia in maniera restrittiva». «Nel corso della discussione di questa proposta di legge aveva sottolineato allepoca Pierantonio Zanettin, componente della Commissione giustizia della Camera ed ex laico del Csm abbiamo posto con forza il tema della consapevolezza da parte del politico della appartenenza alla associazione mafiosa dellintermediario o di chi promette voti». Esiste, infatti, la concreta possibilità, che la nuova formulazione del 416 ter esponga tutti i candidati impegnati in campagne elettorali al rischio di un coinvolgimento in indagini ed in procedimenti penali, anche in assenza di una precisa condotta dolosa, tassativamente normata, soprattutto nelle campagne elettorali caratterizzate dalla preferenza, nelle quali la ricerca di consensi personali comporta inevitabilmente il contatto con una vasta platea di elettori, dei quali non è ragionevolmente possibile conoscere a priori la moralità o il casellario giudiziario, puntualizzò il parlamentare azzurro.Il nuovo 416ter, scrissero le Camere penali, «mette a rischio coloro che, invece di affidarsi alla rete e ai suoi gestori per costruire il consenso, pensano ancora ad un impegno politico che muova da un rapporto diretto con il territorio e con le istanze dell elettorato di riferimento. Una legge che si iscrive a pieno titolo nella strategia distruttiva delle democrazia rappresentativa». Concetto ribadito dallo stesso Zanettin: «Chi ha voluto una riforma del genere si immagina che le prossime campagne elettorali vengano condotte direttamente dal divano di casa, utilizzando esclusivamente le piattaforme social».Tornado a Rosso, dimessosi dalla carica di assessore e subito espulso dal partito, i voti sarebbero stati ricevuti dal boss Onofrio Garcea, esponente del clan Bonavota in Liguria, tramite Enza Colavito e Carlo De Bellis, due imprenditori piemontesi che svolgevano il ruolo di intermediari. «Eh5 e bon tagliamo la testa al toro». «Glielo dico, provo a dirglielo». «Cinque, e tre caramelle le han già prese. E bon». Questo colloquio intercettato fra i due, non essendoci riscontri sulleffettivo passaggio di denaro, è stato sufficiente a stroncare la carriera di Rosso.