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Col calare della sera cala pure una scure impensabile sulle riforme della giustizia. Quelle che suscitano in queste ore febbrili produzioni di emendamenti tra i partiti di maggioranza. Ebbene, Matteo Salvini liquida gli sforzi come perdite di tempo. Perché nella sua monografica a “Porta a porta” - riferita dalle agenzie di stampa a ridosso dei Tg, ben prima della messa in onda - dà il seguente annuncio: «Questo Parlamento con Pd e 5 stelle non farà mai una riforma della giustizia, perciò stiamo organizzando con il Partito radicale una raccolta di firme per alcuni quesiti referendari». E non è una illazione sul futuribile, perché di lì a poco Maurizio Turco e Irene Testa, segretario e tesoriera del Partito radicale, confermeranno tutto: «Sempre più si presenta agli occhi degli italiani quello che il Partito radicale da anni denuncia: la scandalosa situazione della giustizia italiana che va profondamente riformata. Purtroppo», si legge nella nota di via Torre Argentina, «fin dai primi istanti della nuova maggioranza che sostiene il governo, appare chiaro come questo Parlamento mantenga troppe difficoltà a cogliere l’occasione di questa necessaria riforma che fin dal 1986 auspichiamo. Far decidere gli elettori con dei referendum sarà ancora una volta l’unica strada praticabile per ottenere la riforma della giustizia». Salvini indica anche i titoli delle tre possibili materie per la consultazione popolare: «La responsabilità civile dei magistrati, perché qualunque lavoratore che sbaglia, paga, tranne in aula di tribunale; la separazione delle carriere; la cancellazione della legge Severino». In realtà, se la Severino e la riforma Orlando della responsabilità civile, introdotta nel 2015, sarebbero certamente abrogabili, sulla separazione delle carriere, che implica modifiche costituzionali, tutto sembra molto più complicato. Ma non è il dettaglio che conta. È la plateale dissociazione di Salvini dall’opera di mediazione condotta da Marta Cartabia, che rischia in ogni caso di far impazzire il già delicatissimo logaritmo della maggioranza sulla giustizia.