Finora l’avvocatura si è sacrificata. Ha accettato anche di veder messa «a dura prova» la «resistenza dei principi del giusto processo che informano e reggono il nostro sistema». Ha rinunciato nell’interesse dei cittadini, e dei loro diritti, a ripiegarsi nell’esclusiva salvaguardia della sicurezza e della salute personali. Perciò il Consiglio nazionale forense chiede ora «rispetto reciproco» a tutti, innanzitutto ai magistrati. E sollecita il governo a farsi carico delle «necessità organizzative» in modo che l’attività giudiziaria riparta «immediatamente». La massima istituzione forense replica così anche alle accuse venute da alcuni settori della magistratura dopo le modifiche al processo da remoto. Le toghe progressiste di Area, per esempio, avevano contestato, in una nota, le correzioni alle norme sulla giustizia telematica, sollecitate dalla professione forense, fino ad attribuire preventivamente all’avvocatura la «responsabilità» di una eventuale «mancata ripresa della attività giudiziaria». Il Cnf ricorda come ben altre siano le scelte che rischiano di impedire la riapertura dei tribunali, e che «nessuna censura» può essere rivolta agli avvocati.

Con il comunicato diffuso ieri dopo la riunione del plenum, il Cnf chiarisce dunque una volta per tutte lo schieramento delle forze in campo: da una parte lla professione forense che chiede di riprendere subito i processi, dall’altra l’esecutivo a cui spetta di assicurarne lo svolgimento in sicurezza. «Il grande senso di responsabilità ha caratterizzato e caratterizza l’avvocatura nella consapevole scelta di assecondare la necessità di condivisione delle regole per affrontare l’emergenza», si ricorda innanzitutto nella nota. Una disponibilità mostrata «anche in settori originariamente ignorati dalle previsioni», un senso di responsabilità che appunto si è tradotto anche «nell’accettare - seppur temporaneamente- norme che mettono a dura prova la resistenza dei principi del giusto processo che informano e reggono il nostro sistema» e «nell’equilibrare le diverse aspettative della categoria, rivendicate nel rispetto del ruolo e con l’unico scopo di garantire sempre e comunque il diritto di difesa».

Ecco perché, ricorda il Cnf, «nessuna censura potrà essere rivolta all’avvocatura circa i probabili ritardi nella regolare ripresa dell’attività giurisdizionale». E anzi, l’impegno e il senso di responsabilità degli avvocati, si legge ancora nel comunicato, «sono evidentemente non soltanto non compresi ma anche poco utili, se le rivendicazioni di dirigenti e personale amministrativo rischiano di condizionare la ripresa più delle legittime richieste di tutela del diritto di difesa». Ed è così, perché la scelta di ripartire, soprattutto dl 12 maggio in poi, sarà innanzitutto dei capi degli uffici giudiziari, a cui compete l’adozione di una delle diverse modalità organizzative prospettate dall’articolo 83 del decreto Cura Italia.

Magistratura e governo non possono più ignorare, dunque, la chiara indicazione degli avvocati italiani e così sintetizzata dal Cnf: «L'attività giudiziaria deve ripartire immediatamente». E «chi ne ha la responsabilità faccia subito quello che deve nel rispetto delle norme e dei cittadini, che hanno il diritto di avere risposte in tempi rapidi». In particolare «al ministro della Giustizia e al governo» spetta «la responsabilità di sovvenire alle necessità organizzative e di mettere ordine tra i diversi protocolli e le direttive adottate nei tribunali».

Tutto si può dire delle difficoltà di restituire ai cittadini il servizio di giustizia ma non che gli avvocati siano secondi a qualcuno nel chiedere di superarle: è il senso della nota diffusa dal Cnf. «L’avvocatura italiana», si ricorda infine nel comunicato, «si è sempre fatta trovare pronta nei momenti più difficili per offrire il proprio contributo, alla sola condizione del rispetto reciproco, nell’interesse della collettività che non può permettersi altri lunghi mesi di inattività» .