Si stanno atrofizzando gradualmente parti del corpo, un pezzo di piede è stato amputato e presto, se non verrà curato adeguatamente, l'altro piede potrebbe subire la stessa sorte. Una degenerazione lenta, graduale, senza possibilità di salvarsi e con il rischio di rimanere per sempre con la sedia a rotelle. Ma nonostante ciò è costretto a rimanere in galera, senza la possibilità di essere curato giornalmente e assistito in casa, magari dai suoi cari. Per la magistratura, oltre che essere compatibile con il carcere, è ritenuto pericoloso ed esiste ancora il pericolo di fuga. Parliamo di un ergastolano ostativo rinchiuso nel carcere milanese di Opera. Si chiama Francesco Di Dio, ha 44 anni e varcò le soglie del carcere nel lontano 1991 quando aveva poco più di 18 anni. In carcere ne ha già passati ventisei, di anni. Soffre di una grave patologia, ovvero il morbo di Burger. È una malattia che provoca l'infiammazione dei vasi sanguigni nelle gambe e braccia, in particolare nelle mani e piedi. Causa un restringimento e ostruzione dei vasi sanguigni tanto da mandare in cancrena sia gli arti inferiori che superiori. A quel punto, se non curata in tempo, l'unica soluzione che rimane è l'amputazione. Francesco, per potersi curare, ha fatto richiesta di arresti domiciliari o ospedalieri. Il magistrato di sorveglianza ha respinto la richiesta. Poi l'ergastolano ha fatto ricorso al Tribunale di Sorveglianza, ma anche questo è stato respinto con una lunga serie di motivazioni. C'è un particolare di non poco conto: il presidente del Tribunale di Sorveglianza è lo stesso magistrato di sorveglianza che aveva respinto l'istanza.Tra le varie motivazioni per il rigetto, quella principale è che il tribunale rammenta la gravità della condanna in esecuzione, la pericolosità del detenuto e il concreto pericolo di fuga. Il magistrato ritiene, inoltre, che non esistono dubbi sulla compatibilità del recluso con il regime detentivo. Poi evidenza anche una "colpa": il ristretto non vuole smettere di fumare, quindi peggiorerebbe di sua volontà la patologia. A denunciare questa situazione è stato l'ergastolano Alfredo Sole - tra l'altro uno dei protagonisti del docufilm "Spes contra Spem " di Ambrogio Crespi - con una lettera che noi de Il Dubbio abbiamo potuto visionare. Il detenuto affetto da questa grave patologia è il suo compagno di cella e scrive una serie di riflessioni che provano a "smontare" una ad una le motivazioni del Tribunale. Vale la pena di riportare qualche brano che rende l'idea della situazione nel quale riversa Francesco e la pena dell'ergastolo ostativo che è una vera e propria condanna a una lentissima pena di morte viva, come direbbe l'ergastolano Musumeci. "La sua mente è distrutta - scrive Alfredo Sole -, così come il suo corpo e il suo spirito. L'uso prolungato di psicofarmaci lo ha portato ad annullare non solo il tempo che scorre, ma anche se stesso. Non ne può più fare a meno. Droghe potenti che lo Stato spaccia dentro le carceri e sono legali! Però gli si punta il dito, anche nei rigetti, che da libero, da giovanissimo, ha fatto uso di droghe pesanti. Ma quelle sono illegali". Poi continua: "Questa persona è un guscio vuoto, che all'esterno dimostra l'età che ha, ma nel suo interno è rimasto il ragazzino che hanno arrestato. Ha fermato il tempo con gli psicofarmaci. Sa che dovrà morire, ma lo comprende veramente? Io ho i miei dubbi".Alfredo Sole poi tocca l'argomento del fumo e nella lettera spiega che al recluso non rimane nulla, non vogliono farlo uscire nonostante dovrà morire tra mille dolori, e quindi " la sigaretta è l'unica cosa che gli è rimasta, sa che dovrà morire tra tremende sofferenze, perché togliersi l'unico piacere che può concedersi qui dentro? ". Sul pericolo di fuga, una delle motivazioni del rigetto Alfredo Sole denuncia un particolare che il magistrato di sorveglianza ha omesso: "Non tengono conto che nel 1996, quindi ancora ragazzo, quindi ancora in forma, quindi con una buona probabilità di far perdere le proprie tracce, a causa di una scadenza di termini uscì dal carcere. Poteva fuggire e non lo fece, già condannato all'ergastolo, sapeva che sarebbe tornato in carcere". Quindi Alfredo Sole nella lettera si domanda che se non è fuggito quando poteva, come mai potrebbe pensare di fuggire adesso che non può nemmeno più camminare ed è bisognoso di cure? Poi conclude la lettera facendo l'esempio di un altro ergastolano, gravemente malato anche lui, morto su un letto d'ospedale adibito a braccetto carcerario. Nonostante i sanitari abbiano consigliato e sollecitato più volte di mandarlo a morire in casa, un altro magistrato di sorveglianza aveva deciso che era pericoloso, esisteva il pericolo di fuga. Quindi si era preferito lasciarlo morire senza nemmeno far trascorrere gli ultimi attimi di vita vicino ai proprio cari. "Come negare ormai che Italia esiste a tutti gli effetti una condanna a morte? ", si domanda amaramente l'ergastolano Alfredo Sole. Ora Francesco Di Dio ha concluso il suo ciclo di fisioterapia. Andava due volte a settimana presso l'ospedale Don Gnocchi di Milano. Ma non è una cura, solo un palliativo.