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La Corte di Cassazione ha emesso la sentenza definitiva contro Alessandro Maja
Un cittadino pakistano residente regolarmente in Italia dal 2018 è stato scarcerato dopo l'annullamento, senza rinvio, della custodia cautelare grazie alla sentenza numero 22945 della Cassazione. L'uomo, accusato di omicidio nel suo Paese, era stato arrestato in Italia in vista di una futura richiesta di estradizione. La difesa, sostenuta dall'avvocato Michele Biamonte, coadiuvato dalla fondamentale collaborazione della legale Monica Biamonte del foro di Bologna che ha seguito il caso fin dall'inizio, ha ottenuto un'importante vittoria.
La Cassazione ha infatti stabilito che non è legittimo arrestare ai fini estradizionali una persona per un reato punito con la pena di morte nel suo Paese di origine.
Oltre alle gravi carenze procedurali evidenziate dalla sentenza, la vicenda ha avuto un impatto significativo sulla vita del migrante. A causa dell’ingiusta carcerazione, l'uomo ha perso il suo lavoro a tempo indeterminato, subendo un danno irreparabile: con la perdita del lavoro, viene meno uno dei parametri per il mantenimento del permesso di soggiorno.
Ricostruiamo i fatti. A. A., residente in Italia dal 2018, viene arrestato in relazione a un mandato di arresto emesso il 6 luglio 2012 dalla Corte Distrettuale di Gujrat, Pakistan, per il reato di omicidio. La Corte d'Appello di Bologna aveva convalidato l'arresto e disposto la custodia cautelare in carcere il 29 marzo 2024, nonostante il reato fosse punibile in Pakistan con la pena di morte. Andando ancora nello specifico, c'è un dettaglio curioso. Il mandato di arresto era per “tentato omicidio”, il che, apparentemente verrebbe meno il rischio della pena capitale.
Nei fatti, così non è. Gli stessi giudici della Cassazione fanno notare che dal testo dell'ordinanza impugnata, risulta che a seguito della nota del 27 marzo 2024 del Ministero dell'Interno, il pakistano è stato tratto in arresto dalla polizia giudiziaria in quanto destinatario di un mandato di arresto emesso in relazione al reato di omicidio ( quindi non “tentato”) commesso nel villaggio di Chak Hussain, per il quale la legge pakistana prevede, appunto, quale pena massima possibile la pena di morte.
Altro punto interessante è che la Corte d'Appello ha convalidato l'arresto ritenendo che il Pakistan ha assicurato l'ergastolo come alternativa alla pena di morte. In sostanza, si basa sulla parola. Per la procura generale che si è opposta al ricorso del migrante, “la pena del reato in relazione al quale deve essere disposta la cautela è conforme - con riguardo a quella dell'ergastolo - a quella prevista dall'ordinamento italiano”. Ma per i giudici supremi, questo assunto va respinto.
Censurano l'omessa considerazione da parte della Corte di appello - che si è limitata a ritenere compatibile la alternativa pena dell'ergastolo - della rilevante previsione, nell'ordinamento della Repubblica Islamica del Pakistan, per il reato in ordine al quale si è proceduto, della pena capitale, come peraltro espressamente indicato nella nota ministeriale. In sostanza il Collegio ritiene che la previsione in parola non può legittimare la convalida dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria e la conseguente misura cautelare coercitiva applicata dalla Corte di appello.
Non solo. La Cassazione – recependo le motivazioni degli avvocati difensori del migrante -, non concorda con un precedente orientamento secondo cui, nel procedimento di estradizione, la Corte d'Appello deve solo verificare formalmente l'esistenza dei presupposti per l'arresto dell'individuo richiesto ( il reato contestato, le prove e il mandato di arresto dello Stato richiedente), senza valutare le condizioni sostanziali per una decisione favorevole all'estradizione, che spettano invece alla Corte d'Appello in una fase successiva. La Cassazione, citando una recente decisione su una vicenda simile, ritiene invece che già in questa fase iniziale il giudice debba considerare se sussistono gli ostacoli all'estradizione previsti dalla legge, in particolare il divieto di estradare se il reato è punibile con la pena di morte nello Stato richiedente, a meno che non sia stata irrevocabilmente comminata una pena diversa. Altrimenti, non avrebbe senso limitare provvisoriamente la libertà personale dell'individuo richiesto per un procedimento di estradizione che non potrebbe poi essere perfezionato. In sostanza, secondo la Cassazione, per disporre l'arresto e le misure cautelari in vista dell'estradizione, il giudice deve valutare preventivamente se, allo stato degli atti, l'estradizione potrebbe essere negata per i reati punibili con la pena capitale nello Stato richiedente.
La sentenza della Cassazione, depositata il 6 giugno 2024, rappresenta una vittoria per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, evidenzia anche le gravi conseguenze che possono derivare da decisioni giudiziarie errate, specialmente per le persone più vulnerabili, come i migranti. Lavorava come muratore a tempo indeterminato, era riuscito a integrarsi e mantenere la famiglia. Ma soprattutto, grazie al lavoro, si è visto accogliere l'istanza di sospensiva del diniego al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. E ora che l'ha perso?