La sensazione è che il tempo sia poco e i nodi da sciogliere sulla riforma del processo penale ancora tanti, come emerso dalle audizioni tenute oggi in Commissione Giustizia alla Camera. Lunedì il premier Mario Draghi incontrerà Giuseppe Conte e sul tavolo ci sarà la riforma della giustizia. Dall'incontro dipenderà anche il clima con cui si affronteranno le tappe successive: martedì il deposito dei sub-emendamenti e venerdì la riforma in aula. Il lavoro del ministero della Giustizia è stato di dialogo con tutti gli attori interessati dalla riforma - magistratura, avvocatura, accademia - ma sperare di trovare un consenso unanime su una riforma di ampio respiro sarebbe utopistico. Sicuramente la parte più critica resta quella della improcedibilità e non si comprende come mai il Governo abbia optato per questa soluzione, quando in molti, compresi alcuni membri della Commissione ministeriale, sono favorevoli all'altra proposta, quella della prescrizione sostanziale. Lo ha detto a titolo personale lo stesso professore avvocato Vittorio Manes, membro della Commissione Lattanzi, che ha aggiunto: «La proposta inserita negli emendamenti ha cura di precisare che in caso di risarcimento del danno per la parte civile, una volta arrivata l’improcedibilità, il giudice penale può trasmettere gli atti al giudice civile. È una giusta preoccupazione sia per le vittime che per l’imputato, ed andrebbe ulteriormente chiarita, specificando che la condanna in primo grado poi divenuta improcedibile non può lasciar residuare effetti, ad esempio sul piano della confisca o sul piano extrapenale e disciplinare: altrimenti significherebbe lasciar residuare un’ombra di colpevolezza - per citare le parole della Corte Edu - sul soggetto, in spregio della presunzione di innocenza». Stessi dubbi sono arrivati anche dall'Unione delle Camere Penali Italiane, con il presidente Gian Domenico Caiazza: «La prima proposta della Commissione Lattanzi, modellata - in senso per di più migliorativo - sulla riforma Orlando, sarebbe stata a nostro avviso preferibile, ma l’obiettivo politico è tuttavia inequivocabilmente raggiunto». In generale, per Caiazza, «dire no all'imputato a vita e difendere il diritto pieno al secondo grado di giudizio sono le priorità dei penalisti italiani che appaiono nel complesso recepite dagli emendamenti governativi». Per quanto concerne le impugnazioni, accoglie «con soddisfazione l’abbandono dell’idea, da sempre propugnata dalla magistratura italiana ed in un primo momento fatta propria dalla bozza Lattanzi, di trasformare l’appello penale in un giudizio cosiddetto “a critica vincolata”, così trasfigurandolo da giudizio sul fatto a giudizio sull’atto. Debbono però essere stigmatizzate le residue proposte che mirano ad ostacolare l’accesso al giudizio di appello». Infine «basta con il terrorismo che mette all'ultima fila il diritto fondamentale del cittadino a conoscere la sua sorte in un processo penale entro un tempo predeterminato e ragionevole. Non c'entrano i privilegi o la casta o gli avvocati ricchi». Critiche anche dall'Anm: per il presidente Giuseppe Santalucia, la nuova prescrizione processuale «non sembra sia un istituto di accelerazione del processo. L'obiettivo di una riduzione dei tempi dei processi è da noi condiviso ma questo non è uno strumento adatto, non accelera ma elimina i processi». Per il segretario, Salvatore Casciaro, «facendo una prima stima sono oltre 150mila i procedimenti che non rispetterebbero la tempistica» prevista dagli emendamenti governativi, e «sono molti i distretti che sarebbero interessati dal rischio di amputazione di moltissimi procedimenti penali, tra cui Roma e Napoli». Tra gli auditi anche Armando Spataro, ex procuratore della Repubblica di Torino, che sul tema dell'improcedibilità ha rigettato le critiche di coloro che sostengono che gli imputati rimarrebbero in una condizione indeterminata, perché «essi possono rinunciare all'improcedibilità e chiedere di andare a sentenza». Si è poi detto contrario alla possibilità che al Parlamento vengano attribuiti i criteri di scelta dell'azione penale, seppur in termini generali. Ha concluso sottolineando che «appare di natura sostanzialmente lessicale la proposta per cui, al termine dell'indagine preliminare, il pm deve chiedere l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna, così come il giudice dell'udienza preliminare deve, per le stesse ragioni, pronunciare sentenza di non luogo a procedere. Questo accade già. La cultura del pubblico ministero è già improntata a ragionare come il giudice». Intervenuto anche il professore avvocato Franco Coppi che ha tenuto subito a precisare che le sue recenti dichiarazioni sulla riforma sono state distorte e condotte a conclusioni che non erano nel suo spirito. Si riferiva probabilmente all'articolo del Fatto che qualche giorno fa ha titolato “Prescrizione, anche il più celebre degli avvocati boccia Cartabia”. Nulla di tutto questo: «L'altro giorno ho discusso in Cassazione un caso per un reato commesso nel 1986. Il processo è già una pena, figuriamoci uno che dura più di 30 anni. Le lungaggini della giustizia sono un problema terrificante. Si è detto che sono passato dalla parte di Bonafede. La sua proposta di un processo infinito era una follia».