Intanto il metodo: consultazioni bilaterali. Marta Cartabia decide di costruire l’intesa sulla riforma del Csm con una convocazione lampo, e per incontri separati, delle forze di maggioranza. Si corre, dopo l’impulso di Sergio Mattarella, l’incontro di lunedì con Mario Draghi e in vista del via libera atteso per venerdì in Consiglio dei ministri. Il giro con i partiti finisce tardi: Lucia Annibali (Italia viva) e Enrico Costa (Azione) lasciano via Arenula intorno alle 21. Il colloquio “singolo” è una forma prudente e schematica con cui la guardasigilli verifica la convergenza sui due punti più scivolosi: legge elettorale per i togati, di impianto maggioritario ma con correzione proporzionale, e fine delle porte girevoli fra magistratura e politica, con differenze a seconda dell’incarico. «Contiamo di depositare gli emendamenti a Montecitorio in tempo per l’inizio dell’esame in commissione Giustizia, previsto per il 16 febbraio», premette Cartabia a tutti gli interlocutori. Nel merito, il sistema di voto prevede l’assegnazione del seggio al vincitore in ciascun collegio, con un recupero proporzionale attraverso cui si dovrebbe attribuire un terzo dei posti disponibili, incrementati dagli attuali 16 a 20 (da 8 a 10 per i laici). Riguardo al divieto di rientro nella giurisdizione per le toghe sedotte dalla politica, si tratterà, spiega la guardasigilli, di una «preclusione definitiva per gli eletti, mentre per chi si candida e non è eletto, e per chi viene scelto come ministro o assessore, lo stop durerà tre anni». Non si perderà lo status di magistrato né lo stipendio, come impone l’articolo 51 della Costituzione, ma si lavorerà per esempio nelle agenzie internazionali, al ministero della Giustizia o, forse, al massimario della Cassazione. Alcune forze ne escono particolarmente soddisfatte. Di sicuro il Movimento 5 Stelle, che diffonde, dopo l’incontro, una nota in cui si conferma che «sulle porte girevoli resta sostanzialmente l’impianto della riforma Bonafede, e questo è molto apprezzabile. Sulla legge elettorale ci sono correttivi nella direzione da noi auspicata», aggiungono i pentastellati, «ma temiamo che ancora non siano sufficienti a evitare spartizioni fra correnti. In ogni caso ci riserviamo di analizzare il testo». E la soluzione, nel dettaglio, è come detto un maggioritario corretto. Tra gli interlocutori informati a turno da Cartabia c’è anche un parlamentare-avvocato come Federico Conte, capogruppo di Leu in commissione, che appena sente la descrizione del sistema di voto esclama: «Scusi ministra, ma un maggioritario con recupero proporzionale fa pensare al mattarellum: potremmo ribattezzarlo cartabiellum...». E lei, la guardasigilli, si concede una risata liberatoria. «È giusto aver evitato soluzioni assurde come il sorteggio», commenta sempre Conte dopo le consultazioni, «le aggregazioni esistono, ci saranno sempre: i vizi degenerativi vanno superati in termini culturali, non di messa al bando delle correnti». Da segnalare che va in archivio anche il divieto di eleggere i parlamentari: per i laici resta la sola incompatibilità con la carica politica. Alcuni dettagli andranno chiariti testi alla mano (ieri Cartabia ha esposto gli emendamenti solo per riassunto, senza mostrare ancora l’articolato). Non è certo che venga preservata, per i togati da eleggere, la tradizionale distinzione tra giudicanti e requirenti. Di sicuro però, dopo l’incontro di due giorni fa con Draghi, la ministra teneva a trovare una convergenza di massima tra i partiti sui punti più caldi, che sono appunto le porte girevoli e la legge elettorale. Sul resto arrivano conferme: per esempio sul diritto di voto riconosciuto agli avvocati nei Consigli giudiziari anche quando si formulano i pareri sulle valutazioni di professionalità dei magistrati: una battaglia a cui tenevano molto sia Forza Italia che il Pd. Gli azzurri presentano a via Arenula una delegazione da primissima linea: Mariastella Gelmini, Antonio Tajani, il sottosegretario Francesco Paolo Sisto e il capogruppo in commissione Pierantonio Zanettin, aspetto che segnala la delicatezza del passaggio di ieri. Ha buone chance di entrare nel pacchetto Cartabia una proposta di FI per “allontanare”, almeno, le carriere di pm e giudice: consentiti al massimo due passaggi di funzione, da chiedere solo nella prima fase del percorso in magistratura. Il sì al voto dei laici sulla professionalità delle toghe premia, come detto, anche la tenacia del Pd, che pure aveva depositato a riguardo emendamenti in commissione. A passare è proprio la formula ipotizzata dai dem: a votare nel Consiglio giudiziario sarà sì l’avvocato che abitualmente vi siede, ma dopo che sulla professionalità di quel magistrato si sarà espresso, in modo collegiale, il Consiglio dell’Ordine. «Così si spersonalizza il procedimento e si spazza via ogni timore di conflitto d’interesse», spiega Walter Verini, relatore della riforma sul Csm, oltre che tesoriere al Nazareno: è lui, insieme con la responsabile Giustizia Anna Rossomando, a incontrare Cartabia. Un riflessione va fatta, e riguarda ancora la legge elettorale. Com’è intuibile il recupero proporzionale avverrà fra candidati collegati fra loro: tradotto, servirà a garantire un seggio alle correnti minori. Il colpo viene inflitto non all’associazionismo ma alle degenerazioni, non ultima il rischio di un anomalo bipolarismo nella magistratura. Ancora sul sistema di voto: passano alcune modulazioni a cui pure teneva particolarmente il Pd. Ci sarà non solo parità di genere obbligatoria fra i candidati ma un vantaggio per l’aspirante togato appartenente al genere meno rappresentato tra gli altri eletti. «Mi pare ci siano le condizioni per un lavoro proficuo e costruttivo in commissione», conclude Verini, «con le soluzioni illustrate dalla ministra sembrano ridursi i rischi di attrito nella maggioranza: certamente dal 16 si lavorerà con speditezza». Sembra la volta buona.