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In nome della difesa dei confini nazionali, il nostro Paese continua ad applicare i respingimenti dei migranti non solo via mare, ma anche via terra, come al confine italo sloveno.
Quest’ultima è una pratica dichiarata illegittima da una ordinanza del tribunale di Roma del 2021, ma a fine 2022 il Viminale l’ha ripristinata tramite una direttiva e ciò ha ricreato una evidente violazione dei diritti umani a causa di un effetto a catena: dall’Italia alla Slovenia, che a sua volta rimanda migranti e richiedenti asilo in Bosnia ed Erzegovina e li sottopone al rischio di violenze e abusi. Stessa dinamica – come denunciato da una inchiesta di Lighthouse Reports - si ripresenta nei respingimenti dai porti adriatici verso la Grecia attraverso traghetti privati dove i migranti sarebbero trattenuti con forza e in pessime condizioni. Al livello europeo, le pratiche del respingimento dei migranti si traducono in violazioni dei diritti umani. Ci viene in aiuto il recente report dal titolo “Picchiati, puniti e respinti alle frontiere dell’Europa”, elaborato dal network inter-europeo Protecting rights at borders (Prab), che affronta anche la questione dell’Italia, capitolo redatto in collaborazione con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Diaconia Valdese e il Danish Refugee Council. I dati raccolti dai partner del Prab documentano come sono stati “accolti” migliaia di migranti alle porte dell’Ue con un diniego di accesso alle procedure di asilo, arresto o detenzione arbitrari, abusi fisici o maltrattamenti, furto o distruzione di proprietà. Persone provenienti da Afghanistan, Siria e Pakistan hanno riferito di essere state più frequentemente vittime di respingimenti e nel 12% degli incidenti registrati sono stati coinvolti bambini. Questi dati sono purtroppo solo la punta dell’iceberg.
Ma veniamo al nostro Paese. Da questo rapporto emergono diversi respingimenti, sia via terra che dai porti del mediterraneo. Quelli dall’Italia alla Libia sono proseguiti nel 2022 in collaborazione tra i due governi e grazie al recente rinnovo del Memorandum Italia-Libia. Il nostro Paese continua inoltre a sostenere la Tunisia nelle attività di pattugliamento delle frontiere e nella lotta al traffico di migranti. Per contrastare il forte aumento degli arrivi dalle coste tunisine, il governo italiano ha accelerato le procedure per favorire i rimpatri di cittadini tunisini.
Ma veniamo al punto più grave. Nel corso del 2022 sono stati registrati anche respingimenti dall’Italia verso Grecia e Albania. Attraverso le attività di monitoraggio svolte dall’Asgi e dalle organizzazioni della Rete dei Porti dell’Adriatico, sono state raccolte testimonianze di respingimenti e riammissioni dai porti adriatici verso Grecia e Albania, dove sono coinvolti non solo i richiedenti asilo, ma anche i minori non accompagnati. Le testimonianze documentano trattamenti disumani, come la confisca e la distruzione di effetti personali, la svestizione forzata e l’esposizione a temperature estreme.
Questa prassi italiana è stata recentemente denunciata anche da Amnesty International. Che lo fa riferendosi a una inchiesta condotta da Lighthouse Reports, la quale ha messo in luce come l’Italia porti avanti respingimenti illegali verso la Grecia, impiegando traghetti privati, dove le persone vengono trattenute contro la propria volontà e in pessime condizioni. Tra le persone respinte ci sarebbero anche minori. L’indagine, attraverso testimonianze e documentazione fotografica e video, ha mostrato persone trattenute sottocoperta su traghetti passeggeri, chiuse in limitati spazi metallici, vecchi bagni inutilizzati e aree destinate al deposito di bagagli, a volte ammanettate a sbarre di ferro, durante viaggi che possono durare anche più di un giorno dall’Italia verso la Grecia. Quanto denunciato è stato confermato anche da alcuni membri degli equipaggi delle navi coinvolte, che hanno testimoniato circa il trattenimento delle persone migranti in luoghi definiti “prigioni”, e il loro rimpatrio in Grecia.
Le riammissioni tra Italia e Grecia sarebbero rese possibili da un accordo bilaterale tra i due Paesi, in vigore dal 1999 seppur mai ratificato dal Parlamento italiano. Eppure, già nel 2014, a Corte europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia per i respingimenti coatti e illegittimi verso la Grecia, con la sentenza relativa al caso “Sharifi e altri”.
Nello specifico, l’Italia era stata condannata per la violazione del divieto di espulsioni collettive (articolo 4 protocollo 4 alla Convenzione europea dei diritti umani), del diritto a un ricorso effettivo contro l’espulsione collettiva e l’esposizione a trattamenti inumani e degradanti (articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione e con l’articolo 4 protocollo 4), e per il divieto di trattamenti inumani o degradanti (articolo 3 della Convenzione). In seguito alla sentenza era stata aperta una procedura di supervisione, volta a monitorare l’adozione delle misure necessarie a porre fine alle prassi illegittime: una misura che il Governo italiano aveva chiesto di interrompere, sollecitando in tal senso il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, e adducendo per tale richiesta il compimento delle misure previste per l’interruzione delle prassi condannate. La supervisione non era stata bloccata, alla luce di criticità evidenziate da diverse organizzazioni.
Amnesty International era intervenuta sul caso evidenziando gravi criticità nei sistemi di asilo greci e italiani, tra cui la mancanza di accesso alle procedure di determinazione dell’asilo, il ricorso inappropriato e spesso illegittimo alla detenzione, condizioni di accoglienza inadeguate e l’incapacità di prendere in considerazione le particolari esigenze di gruppi vulnerabili, come i minori non accompagnati. Come affermato da Amnesty, proprio tali criticità avrebbero portato a espulsioni collettive compiute dalle autorità italiane, e a respingimenti di richiedenti asilo dall’Italia alla Grecia, cosa che avrebbe esposto le persone a un rischio reale di tortura, maltrattamenti e altre gravi violazioni dei diritti. Eppure, a distanza di più otto anni, secondo quanto emerge dall’inchiesta di Lighthouse Reports, pare che il nostro Paese non abbia interrotto tale pratica.
Così come, grazie a una direttiva del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, a fine 2022 è stata disposta la riattivazione delle “riammissioni informali attive” a danno dei migranti in arrivo dalla Slovenia, evocandone la presunta legittimità nonostante fossero già state censurate dal Tribunale di Roma a inizio 2021 anche per l’effetto “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina. Parliamo di migranti, per la maggior parte provenienti da Siria, Afghanistan, Iraq, Iran, Pakistan, Bangladesh, i quali compiono la cosiddetta rotta balcanica: rotta costellata da violenze e torture, per poi andare incontro ai respingimenti. La questione diventa ancora più grave quando, tra le persone più vulnerabili, ci sono anche i minorenni. E ciò va in contrasto anche con le garanzie sancite dalla Legge Zampa, quelle appunto sui minori non accompagnati.
I respingimenti, violenti o meno, costituiscono una violazione del diritto a chiedere protezione internazionale. Ogni persona ha diritto a una valutazione individuale della propria richiesta di protezione. Gli Stati hanno il diritto di rispettare i propri confini, tuttavia, ciò deve avvenire in conformità con i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani. Resta il fatto che i respingimenti non sono casi isolati; stanno accadendo sistematicamente e sembrerebbe un modo, non solo italiano, per esternalizzare la responsabilità di proteggere le persone. Il risultato è la violazione sistematica dei dritti umani.