Corruzione di magistrati, nomine pilotate dei capi dei Tribunali e delle Procure, pressioni e interferenze da parte di forze politiche per condizionare l’esito dei procedimenti. Non stiamo parlando del Consiglio superiore della magistratura italiano ma di quello tunisino, travolto nei giorni scorsi da uno scandalo che ricorda molto da vicino il “caso Palamara” e la notte fatale dell’hotel Champagne.

La reazione del presidente della Tunisia Kais Saied alle malefatte togate è stata durissima: scioglimento immediato del locale Csm e approvazione, entro questa settimana, di un decreto d’urgenza con cui riorganizzare completamente l’ordinamento giudiziario tunisino. «Alcuni magistrati hanno proprietà per miliardi di dinari», ha tuonato il presidente Saied in un video postato sulla propria pagina facebook. «Le nomine dei magistrati - ha proseguito - vengono vendute, i fascicoli processuali sono manomessi, alcune toghe sono al servizio di interessi estranei a quelli dello Stato». Accuse che, come detto, fanno tornare alla memoria quanto accaduto a Palazzo dei Marescialli nella tarda primavera del 2019, vicende a cui seguirono uno stillicidio di dimissioni di consiglieri superiori e polemiche a non finire.

La firma del decreto è arrivata in queste ore, con l'istituzione di un nuovo Consiglio supremo della magistratura provvisoria che sostituisce di fatto l'organo da lui abolito e con il quale Saied si è autoconferito ulteriori poteri per controllare la massima organizzazione giudiziaria del Paese. Il decreto, pubblicato oggi sulla gazzetta ufficiale, afferma che il presidente controlla la selezione, la nomina, la promozione e il trasferimento dei giudici e può agire in determinate circostanze come organo disciplinare incaricato delle rimozioni. Contrariamente al diritto internazionale, nessuno dei giudici nominati nel nuovo consiglio sarà eletto.

Saied, ex docente di diritto all’università di Sousse, forse conoscendo cosa era successo in Italia, non ha allora voluto perdere tempo e lo scorso fine settimana ha azzerato il “suo” Csm: «I tunisini - ha aggiunto il presidente giustificando quanto fatto - hanno il diritto di conoscere la verità e chiedono che la magistratura sia "giusta", con giudici che devono applicare la legge». Non si è fatta attendere la risposta da parte del Consiglio superiore della magistratura tunisino e della locale Associazione nazionale magistrati. «La decisione di Saied - hanno fatto sapere le toghe - compromette l’assetto costituzionale e lede l’indipendenza della magistratura». Immediata la controreplica del presidente, per nulla intimorito, che ha annunciato di aver preparato un dossier in cui mostrerà ai suoi concittadini come avvengono le nomine dei magistrati, come i processi vengono pilotati e come le sentenze aggiustate. Nel mirino di Saied, in particolare, le indagini su esponenti del partito islamista Ennahda, legato ai Fratelli Mussulmani, che condizionerebbe l’operato dei magistrati e, di conseguenza, la politica tunisina.

Il provvedimento di scioglimento del Csm è stato accolto con favore da Ibrahim Bouderbala, il decano degli avvocati tunisini: «Serve una revisione della composizione del Csm, era un provvedimento atteso da tempo», ha commentato. «I tunisini hanno apprezzato la decisione del presidente Saied, ci sono troppi episodi di giudici corrotti e di sentenze pilotate», ha dichiarato al Dubbio il giornalista Khaled Awamleh, già corrispondente per il Nord Africa di Arab telemedia group.

Il Consiglio superiore della magistratura tunisino, ironia della sorte, era stato istituito nel 2016 sulla falsariga di quello italiano. A maggio di quell’anno, una delegazione di magistrati tunisini era stata ricevuta con tutti gli onori a Palazzo dei Marescialli. Era seguito un incontro di studio in cui i padroni di casa avevano illustrato compiti e funzioni del Csm italiano. La visita era stata molto apprezzata dai magistrati tunisini che decisero, tornati in patria, di mutuare molte delle prassi in uso a Piazza Indipendenza per le nomine dei magistrati, gli avanzamenti di carriera, l’assegnazione degli incarichi. Una delegazione di componenti del Csm italiano si era in seguito recata a Tunisi in occasione della cerimonia di insediamento del neo organo di autogoverno delle toghe nord africane. E per loro, l’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini aveva auspicato una partecipazione nella rete dei Consigli giudiziari dell’area euro-mediterranea.

«Persino in Tunisia è stato fatto quello che bisogna fare in Italia dopo lo scandalo Palamara: l’immediato scioglimento dell’organo di autogoverno delle toghe», ha dichiarato l’ex laico di Palazzo dei Marescialli Antonio Leone che, nella scorsa consiliatura, era stato molto critico sulle trasferte dei suoi colleghi organizzate per esportare all’estero il modello del Csm italiano.