Nell'Anm, per ora, dilaga il silenzio. Non si è alzata ufficialmente neanche una voce contro il proclama del Presidente Davigo, il quale propone di educare gli italiani "a sberle" (citazione letterale dal suo discorso) e di dimezzare i redditi degli avvocati e anche il numero degli avvocati. Davigo evidentemente pensa che per mandare più gente possibile in prigione, la cosa migliore sia quella di fare in modo che gli imputati restino senza avvocati o comunque che debbano ricorrere ad avvocati malpagati, poco motivati, e possibilmente poco dotati, e dunque non in grado di dare fastidio ai Pm.Sono concetti non nuovissimi per il capo dell'associazione nazionale magistrati, e del resto non è nuova neppure la sua idea secondo la quale un paese come l'Italia è composto essenzialmente da mascalzoni e poi da un gruppetto esiguo di gente per bene la quale ha diritto ad essere protetta dai mascalzoni. Il problema - secondo la filosofia di Davigo - è che una selva di leggi complesse rende difficile la condanna di tutti i sospetti, e questi - che sicuramente sono colpevoli - quasi sempre la fanno franca.Se si riuscisse ad individuare un meccanismo per mandare in galera i sospetti, la società funzionerebbe molto meglio. L'ostacolo sono le leggi e la Costituzione, concepite a favore dei rei e non dei pochi Giusti.Forse ho schematizzato un po' troppo la posizione di Davigo, ma non credo di averla stravolta. Del resto lui stesso, nel libro scritto a quattro mani con il suo ex collega Gherardo Colombo, e in aperta polemica proprio col suo collega, si è dichiarato "giansenista", cioè seguace di quella setta religiosa che nel seicento - in contrasto con la Chiesa romana - proclamò la "colpevolezza" di tutti gli esseri umani, i quali nascono malvagi, e dei quali solo un ristretto gruppo si salva e si purifica attraverso la grazia regalata da Dio.La colpa, nell'ideologia giansenista e ora davighiana, è una caratteristica dell'essere umano. Un'impronta evidente e indelebile. Dunque non c'è nessun bisogno di dimostrarla. Casomai sta al sospettato dimostrare che lui invece ha ricevuto la grazia e fa parte della schiera piccolissima degli "innocenti". Sicuramente il giansenismo in salsa davighiana non ammette neppure l'ipotesi che tra "gli innocenti" possa esserci qualche politico (tranne, forse, Grillo...).In una breve nota, che pubblichiamo in prima pagina, Andrea Mascherin, che è il presidente degli avvocati italiani, ironizza sulle facoltà mentali di Davigo e sul suo equilibrio psichico. Difficile dargli torto. Probabilmente però il problema è ancora più grave. Non ci troviamo di fronte a una situazione eccezionale, dovuta al fatto che per "errore" i magistrati hanno eletto alla testa della propria associazione un estremista, o un reazionario d'altri tempi, o un professionista dall'equilibrio intellettuale assai incerto. Se fosse così, sarebbe ragionevole aspettarsi una rivolta almeno di una parte consistente dei magistrati italiani, indignata per le alzate d'ingegno del loro presidente. E invece, come si diceva all'inizio, per ora nell'Anm dilaga il silenzio.Ieri abbiamo ascoltato un collaboratore stretto di Davigo, e ci ha confessato di pensare anche lui che talvolta il suo presidente sbaglia i toni e le parole. E però ha confermato che i problemi che pone Davigo sono giusti e urgenti.L'impressione è che in una parte maggioritaria della magistratura italiana l'idea dominante sia esattamente quella che ci ha rivelato il collaboratore di Davigo. I toni son sbagliati ma la denuncia è giusta. E cioè, l'Italia soffre di un eccesso di diritti della difesa, gli avvocati sono l'espressione di questo eccesso, l'unica riforma giusta della giustizia è una riforma che riduca i diritti della difesa e lo faccia nel modo più semplice: ridimensionando in vari modi il mondo degli avvocati. Una società più giusta passa di qui: dal contenimento dei diritti, dal ridimensionamento della difesa e dunque dalla messa in mora dell'avvocatura.Non è una idea che vince solo in Italia. Oggi gli avvocati sono sotto tiro in molti paesi. In Turchia, per esempio, dove è in atto una svolta autoritaria. In Pakistan, dove - come abbiamo documentato nei giorni scorsi - sono stati uccisi 3500 avvocati, considerati un ostacolo alla vita ordinata di quella società.Davigo non è un frutto avvelenato: Davigo è l'espressione di una idea neo-autoritaria che è ben radicata nel mondo della magistratura e che sta conquistando posizioni vincenti in gran parte della politica, del giornalismo, dell'intellettualità, e in genere dell'opinione pubblica.Il pericolo di una involuzione non-democratica della società, e di una messa in discussione dello Stato di diritto, è squadernato di fronte a noi in modo assai chiaro. Per non vederlo bisogna essere ciechi, o fingersi ciechi.La battaglia non è tra Davigo e gli avvocati. E' tra l'ideologia delle sberle e l'ideologia dei diritti. Ed è una battaglia dalla quale dipende il futuro della nostra civiltà. Possibile che nella magistratura non esitano pensieri, idee, sentimenti, valori, che entrino in rotta di collisione col davighismo? E possibile che se esistono restino silenti? Non è così in nessun altro anfratto del potere. Matteo Renzi, che oggi è potentissimo, ha mezzo partito che gli grida contro. Silvio Berlusconi, che per 20 anni è stato il dominus della politica italiana, ha subito quattro o cinque scissioni. Persino Matteo Salvini ha nel suo partito ampie sacche di dissenso. Ed è così nelle scuole, nei giornali, nelle università, nei vertici delle imprese. Persino nella Chiesa, dove la fronda a Francesco è vasta e palese. Solo la magistratura fa eccezione? Chi dissente pensa che per ora sia opportuno tacere? Quando capirà che non è opportuno tacere, purtroppo, forse, sarà troppo tardi.