di Mario De Rosa*

È trascorso poco più di un ventennio da quando l’istituto del giudice di pace previsto dalla legge 21 novembre 1991 è divenuto operativo, sostituendo da un lato le vecchie conciliazioni e in qualche maniera le soppresse Preture, quale presidio giudiziario sul territorio. Trattavasi, lo riteneva anche l’allora guardasigilli Piero Fassino, di dare al cittadino risposte rapide su materie bagatellari, rese da magistrati cottimizzati, e pertanto si presumeva più solleciti nella pronuncia del giudicato, con un vertice espresso da un giudice pur esso onorario.

Più che trarre bilanci, è il recente passato e l’attuale presente che inducono a nutrire molti dubbi sulla effettiva volontà di far funzionare questo istituto, da sempre e ancor più oggi figlio di un dio minore. Se è vero che la direzione dell’ufficio è affidata al Presidente del Tribunale, che la esercita attraverso il Magistrato d’Ausilio, in genere raramente presente nell’ufficio, è pur sempre difficile che si possa comprendere, pur con molta buona volontà, esigenze e problematiche di un ufficio, che ha caratteristiche ben diverse da quelle del Tribunale, anche per la diversa formazione culturale del corpo giudicante. Non so in quale maniera inciderà sulla produttività la stabilizzazione dei giudici di pace, so per certo che sarebbe doveroso preparare le strutture, oggi del tutto assenti, necessarie ad affrontare la rivoluzione telematica, rinviata al 2025, con la quale si dilatano a dismisura le competenze del giudice di pace. E piaccia o no, qualsiasi rivoluzione ed evoluzione cammina con il contributo determinante dei lavoratori, il cui numero deve essere adeguato e ciò non è.

Da tempo trovano scarsissima eco le richieste di adeguamento o copertura degli organici, delineati non si sa bene in adesione a quale logica numerica e categoriale. I più eclatanti? Avellino: 17 in organico, in servizio 8; Napoli Nord: 3 in servizio, Sant’Anastasia: per anni, una sola unità in servizio, nelle auree stagioni 3 ( e vediamo con quali carichi e di lavoro e di incombenze, ed è lungo l’elenco). E vengo al Giudice di Pace di Napoli, sul quale gravano le attività di circa 4.000 avvocati e i cui affari in materia civile sono pari a quelli di un Tribunale di media- alta grandezza, alle cui problematiche il Ministero pone scarsa attenzione. Iscrizioni al ruolo generale dal 2018 al 2021: 106.00, 92.500, 55.300, 69.700 ( gli ultimi due anni condizionati dal covid).

Sentenze: 47.480, 53.000, 43.500, 40.000. Ve la pongono poi gli ispettori nelle loro relazioni, lamentando cose che il personale e il sindacato di cui chi scrive è segretario regionale denunciano da anni. Il malessere o la relativa funzionalità di questo Ufficio nasce dalla stessa sua formazione, con la necessità di amalgamare un personale allora proveniente da diverse esperienze lavorative, vertice non togato fino al 2017, prosegue con l’assenza di una continuità nella dirigenza amministrativa, trovata solo da qualche tempo con il dottor Galiero, comunque chiamato a rispondere della sua gestione (estesa peraltro a tutti i giudici di pace del Circondario) al presidente del Tribunale, di fatto al Magistrato d’Ausilio, incarico non remunerato. Nessun presidio né medico né delle forze dell’ordine, disattese le prescrizioni covid dalla moltitudine degli utenti; frequenti, troppo frequenti, episodi di intolleranza nei confronti del personale. Con il trasferimento dei Lsu alla città metropolitana, l’archivio è di fatto alla paralisi, mentre il sistema informatico (quello che c’è) è affetto da cronico malfunzionamento.

Ebbene, questo Ufficio, come si legge in un documento della locale Rsu, in toto da sottoscritto condiviso, ha ricevuto un vero e proprio colpo di grazia negli ultimi anni con il dimezzamento del numero di giudici sui quali è distribuito tutto il carico di lavoro precedentemente ripartito sul quadruplo delle unità attuali (passate da 230 a 50). Si è cercato di rimediare con l’assegnazione temporanea di 12 Got, i quali sono stati sospesi e poi riassegnati costringendo le cancellerie a uno stressante lavoro di scardinamento, nel solco di quanto qualche anno prima era capitato con la sede di Barra, prima soppressa e poi chiamata a nuova vita da una decisione politica.

Chicca finale: la legge finanziaria ha soppresso l’obbligo di iscrizione a ruolo con il versamento del contributo unificato. Ovvio che l’iscrizione a debito che aveva già raggiunto negli anni passati il 50% delle cause iscritte, ha avuto nuovo impulso con un mancato introito di milioni di euro. Di qui la destinazione di otto unità lavorative alla lunga, estenuante e spesso improduttiva attività burocratica per il recupero del contributo unificato. (*Segretario regionale Campania Confsal– Unsa personale amministrativo Giustizia)