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AVVOCATO
La sessione ulteriore del congresso nazionale forense tenutasi a fine luglio all’Hotel Ergife si era conclusa con una delusione per Ocf, la cui mozione in tema di ordinamento forense non aveva passato il vaglio di ammissibilità per decisione dell’Ufficio di presidenza, che sorprendentemente non l’aveva ritenuta in linea con il tema congressuale. Si era trattato anche di un segnale della frizione venutasi a creare con il Cnf: per la prima volta in modo palese dopo il congresso di Rimini, rappresentanza istituzionale e rappresentanza politica tornavano allo scontro.
Di lì un crescendo tumultuoso di criticità per Ocf. Dapprima la mozione di sfiducia, poi ritirata, a firma Barbieri, poi la storia della Fondazione- Scuola di politica forense, che ha determinato un forte e pubblico attrito con Unioni e Ordini.
Seguivano le ancor più gravi questioni di bilancio, con richiesta di chiarimenti da parte del Cnf e, infine – a seguito di iniziative dei delegati Barbieri e Delogu, cui si univano altri importanti componenti dell’Assemblea di provenienza ordinistica, come Vassalli, Fatano e Gosamo – le dimissioni dapprima del tesoriere e poi di tutto l’Ufficio di coordinamento.
In pochi mesi quella crisi, i cui prodromi si erano manifestati nella sessione congressuale di luglio, è divampata in un modo e con conseguenze che neppure il più pessimista avrebbe potuto immaginare.
Certamente, molta responsabilità va attribuita alle stravaganze contabili, per non dire altro, del tesoriere, ma non può essere l’unica ragione di una crisi che evidentemente covava, al di là delle manifestazioni di approvazione dell’operato del Coordinamento da parte di un’assemblea in parte poco attenta, in parte remissiva, in parte resa docile con nomine di basso governo.
Da tempo chi ha avuto modo di assistere in streaming alle assemblee di Ocf si era reso conto che si era creato un cerchio magico intorno al coordinatore e al suo Ufficio, tollerato da gran parte dell’assemblea, in cui il timore di rompere il clima, un po’ artefatto, di armonia ha prevalso rispetto al doveroso controllo politico- amministrativo sull’operato del gruppo dirigente. Già sulla questione “Fondazione”, i richiami di Unioni e Ordini di provenienza avevano fatto venir meno quell’unanimismo che in passato era stato incrinato soltanto da pochi delegati. Lo tsunami “contabile” ha fatto venir giù il castello. Più facile tracciare un bilancio politico della gestione Malinconico.
Si può dire che lo spartito tracciato dalle mozioni approvate da Catania sia stato in qualche modo rispettato. Sulla monocommittenza, sia pur con qualche ritardo, sulla riforma del processo civile ( a Catania, per evitare incidenti diplomatici il ministro Bonafede, la giustizia penale venne tenuta in ombra), sull’equo compenso, sulla stessa giustizia complementare ( da molti osteggiata, anche in assemblea, ma in realtà al centro di molte mozioni congressuali) Ocf si è battuto, sebbene i risultati non siano all’altezza delle aspettative. Sarebbe tuttavia ingeneroso dimenticare che una gran parte del mandato è stato interessato dalle vicende del covid, con governo e Parlamento impegnati soprattutto a fronteggiare la pandemia e quindi poco attenti alle istanze provenienti dalle rappresentanze politico- associative intermedie.
Bisogna anzi sottolineare che, in relazione alla pandemia, l’operato di Ocf è stato apprezzabile: fu l’Organismo che, quando ancora la politica e la magistratura non avevano intuito l’effettiva portata del covid- 19, ebbe ad indire l’astensione, che poi il governo dovette di corsa tramutare in un divieto generalizzato di accesso ai luoghi della giustizia e nell’introduzione di modalità, più o meno indovinate, di esercizio dell’attività processuale da remoto. E con modalità da remoto sono state svolte, nel periodo di maggiore diffusione della pandemia, le riunioni assembleari di Ocf, con uno sforzo organizzativo che ha assicurato l’operatività dell’ente, ma forse ha anche distratto l’assemblea da quanto avveniva nell’Ufficio di coordinamento.
Nel bilancio dell’Ocf di Malinconico non si può omettere di considerare l’attività svolta in tema di riforma dell’ordinamento forense, grazie al lavoro eseguito dal relativo gruppo di lavoro coordinato da Fatano, con elaborazione di un documento che, senza dare soluzioni, almeno individua i punti di criticità della legge professionale.
L’obiettivo, come si sa, era di far approvare una mozione programmatica, già nella sessione ulteriore di luglio.
Adesso il traguardo è spostato a Lecce e dovrà occuparsi di raggiungerlo nel migliore dei modi per Ocf, il nuovo coordinatore, Sergio Paparo. Ne va della sopravvivenza dell’Organismo.
Compito non agevole, perché alcuni punti in discussione quali monocommittenza e regime delle incompatibilità, elezioni del Cnf, separazione delle funzioni amministrative da quelle giudiziarie, formazione, specializzazioni, accesso, rischiano di acuire quella frizione con la rappresentanza istituzionale che si credeva definitivamente risolta con la svolta di Rimini del 2016.
Sergio Paparo è sicuramente consapevole delle difficoltà del momento e, da esperto conoscitore della politica forense, dovrà barcamenarsi tra una rappresentanza istituzionale che, a livello centrale e anche territoriale, ha mostrato di non voler cedere lo spazio conquistato in ambito politico, e un Organismo che ha evidenziato criticità anche nel suo funzionamento interno, con una comunicazione non all’altezza dei costi sostenuti, con alcuni delegati e gruppi di lavoro poco attivi, e con un mal riuscito coordinamento con i delegati congressuali, la cui ultrattività ( fiore all’occhiello dello statuto riminese) è rimasta solo sulla carta.
Non a caso, nelle sue prime interviste il neo coordinatore ha già parlato della necessità di apportare sensibili modifiche al regolamento interno e anche allo statuto di Ocf.
D’altro canto, vi è chi intravede il rischio che un Ocf indebolito dalle vicende “contabili” possa venir spazzato da chi non ha mai digerito il dualismo in tema di rappresentanza.
Non sarà una battaglia per nulla facile per Ocf e a Lecce ci attende un congresso ad alta tensione.
LA PRESIDENTE DEL COA DI LANCIANO SILVANA VASSALLI