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«L’identità si costruisce con l’Europa, non contro l’Europa»: è una frase molto significativa quella pronunciata oggi dalla presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra nella sua relazione introduttiva al Salone della Giustizia. Le sue parole non vanno lette sicuramente come un giudizio sulle idee politiche di due forze del centrodestra, anche perché, come lei stessa ha ribadito, «dal confronto sulla giustizia e sulle riforme necessarie il giudice delle leggi resta fuori, perché garante imparziale della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché dell’equilibrio fra i poteri istituzionali e al tempo stesso fautore della leale collaborazione fra le istituzioni democratiche». Tuttavia Sciarra ha voluto rimarcare che sono «grandi temi di attualità» quelli di cui la Corte ha discusso a settembre «con una delegazione di giudici della Corte di Lussemburgo» ossia «l”Identità nazionale degli Stati membri e il primato del diritto dell’Ue” e “Stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali”». A seguire dibattito tra operatori del settore giustizia. «Verso una nuova giustizia, certamente. Ma restano i dubbi se si è anche verso una buona giustizia – ha esordito la presidente del Cnf, Maria Masi - . L'avvocatura ha manifestato in diverse occasioni perplessità sugli strumenti, per noi inadeguati, scelti per accelerare i processi e sulla loro reale efficacia per incidere, anche e soprattutto, sulla percezione che i cittadini hanno della giustizia». «Sono stata catturata – ha proseguito Masi – nel discorso della presidente Sciarra dal concetto di “persona”. Questo dovrebbe essere il filtro per capire se e come le riforme incideranno sulla qualità della giustizia. Confidiamo che si metta in atto un approccio culturale che investa tutti gli operatori della giustizia e che, insieme a questi interventi per noi non adeguati, siano ben investite le risorse economiche europee nell'accesso fisico alla giustizia, con riferimento all’edilizia giudiziaria, alla prossimità della domanda di giustizia, e sul rinnovamento formativo delle competenze di magistratura e avvocatura per un equilibrio di funzioni e poteri». Tra gli interventi anche quello di Tommaso Miele, presidente aggiunto della Corte dei Conti: «Credo che sia arrivato il momento di chiudere una stagione iniziata all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso e che ha portato la magistratura ad occupare spazi non suoi, con inevitabili deviazioni dal fine ultimo della giustizia e con un abbassamento del livello delle garanzie. Occorre recuperare e riaffermare la cultura delle garanzie, e dobbiamo essere soprattutto noi magistrati a farlo. La funzione non deve mai trasformarsi in potere». Per Pietro Curzio, Primo Presidente di Cassazione, una giustizia che funzioni «ha bisogno di tre cose: buone regole, risorse finanziarie, risorse umane». Le risorse finanziarie «dopo decenni ora sono disponibili, e dopo il blocco delle assunzioni abbiamo avuto in parte anche risorse umane, come quelle dell’Upp», ha sottolineato. Ma «mancano i giudici: purtroppo l'ultimo concorso era per 310 posti ma solo 210 candidati lo hanno superato, c'è un problema di raccordo con l'Università». Quanto alle regole, «cambiarle sempre crea problemi, la cosa più complicata è dare loro applicazione», ha rilevato Curzio, ricordando le recenti riforme dei codici di procedura civile e penale: sono «riforme impegnative. Adesso il grosso lavoro è dare loro attuazione. C'è un po' di preoccupazione perché se mentre applichiamo le nuove regole queste vengono cambiate si crea confusione». Dinanzi a lui era seduto il professor Guido Alpa: «La Banca nazionale degli investimenti è sempre molto critica nei confronti dell’Italia in merito alle risorse dedicate alla giustizia. Qualche anno fa ci misero addirittura allo stesso livello del Burkina Faso. Evidentemente c’è un problema di acquisizioni delle fonti per poter dare questi giudizi. Tuttavia tale giudizio scoraggia gli investitori stranieri a venire nel nostro Paese». Per l’accademico, «per la verità l’Italia, culla della civiltà, dal punto di vista della cultura giuridica è straordinaria e non merita questa immagine negativa». Infine, Luciano Violante, già presidente della Camera e magistrato ha sottolineato: «Con la riforma del processo penale assistiamo ad un mutamento dei ruoli degli avvocati, dei pm e dei giudici, soprattutto nella fase delle indagini preliminari. Poi ciò che mi preoccupa è il massiccio ingresso del digitale all’interno del processo penale; però le strutture amministrative non sono preparate. C’è da fare un forte investimento nella formazione dei cancellieri e delle segreterie».