Un nuovo rinvio da parte della Consulta, dunque. Il definitivo addio al regime “ostativo assoluto” per gli ergastolani non collaboranti può attendere. Ed è forse un primato: è difficile rinvenire altri casi in cui sia rimasta in vigore per un tempo così lungo una norma di cui il giudice delle leggi abbia accertato l’incostituzionalità. Un’eccezione pagata a caro prezzo da alcune centinaia di reclusi che non sanno ancora se, quando e in base a quali norme potranno eventualmente proporre istanza di accesso alla liberazione condizionale.

Certo, le parole con cui il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ha annunciato ieri mattina il differimento della decisione sono un esempio di collaborazione istituzionale: con “tatto” fin troppo generoso, non segnalano che in 12 mesi non si è riusciti ad approvare una legge pure ritenuta urgente ma che, per esempio, il relatore Pepe in commissione Giustizia a Palazzo Madama ha «esposto i contenuti» del testo approvato a Montecitorio «consentendo l’avvio della discussione generale».

Nell’indicare gli ulteriori 6 mesi messi a disposizione del Parlamento, Amato spiega che si tratta di un rinvio «concesso entro tempi contenuti», anche considerati gli argomenti della «parte costituita», cioè dell’avvocata Giovanna Araniti, che difende il recluso dalla cui istanza era nata la questione portata dalla Cassazione al vaglio della Consulta. Ma forse vale la pena di ricordare quanto proprio Araniti ci aveva dichiarato nei giorni scorsi nell’esporre le ragioni per cui aveva ritenuto di opporsi alla richiesta di rinvio proposta dall’Avvocatura dello Stato: «Bisogna consentire che tutte quelle istanze che sono rimaste congelate, in attesa di avere una normativa o una pronuncia di incostituzionalità, vengano finalmente vagliate dalla magistratura di sorveglianza, anche perché gli ergastolani ostativi che hanno già maturato un termine di carcerazione più che trentennale sono tanti. Si tratta di persone anziane», aveva ricordato l’avvocata, «con problemi di salute, che hanno diritto quanto prima a ricevere una valutazione delle loro richieste dopo un periodo così lungo di detenzione».

E invece tale diritto, essenziale perché connesso all’aspettativa di vita, passa in secondo piano. Tra chi si dichiara soddisfatto c’è il presidente della commissione Giustizia, il senatore leghista Andrea Ostellari: «Ringrazio la Consulta per lo spirito di collaborazione istituzionale che ha dimostrato accogliendo la richiesta, votata all’unanimità dai componenti della commissione Giustizia del Senato a sostegno dell’istanza formulata dall’Avvocatura di Stato, volta a rinviare la propria pronuncia sull’ergastolo ostativo. In questo modo il Senato della Repubblica potrà lavorare sul testo, con la dovuta attenzione e senza perdite di tempo».

Al contrario è amareggiata l’avvocata Araniti, difensore di S. P., il detenuto non collaborante, sulla cui richiesta di accesso alla libertà condizionale, come detto, è stato appunto sollevato dalla Suprema corte il dubbio dinanzi alla Consulta. La penalista ieri si era battuta in udienza affinché il collegio presieduto da Amato prendesse una decisione e dichiarasse l’incostituzionalità: «Prendo atto della decisione della Corte, augurandomi che questo ulteriore tempo supplementare accordato al Parlamento sia produttivo e porti a un testo illuminato dal faro che è la nostra Costituzione, mettendo al centro il principio di rieducazione, superando talune tesi, figlie di oscurantismo medievale, sul piano sociale e giuridico, rammentando che il testo sarà valutato ex post quanto al rispetto dei valori costituzionali e dei principi anticipati nell’ordinanza n. 97/ 2021».

La Corte costituzionale ha concesso dunque altri sei mesi al Parlamento – cinque se consideriamo che ad agosto i lavori sono sospesi – per elaborare una norma. Si tratta, incredibilmente, della metà di quel «congruo tempo» che aveva già concesso lo scorso anno per affrontare la materia. I giudici di Piazza del Quirinale sull’altare «dello spirito della leale collaborazione istituzionale» con il legislatore hanno sacrificato quel diritto alla speranza che migliaia di detenuti ostativi avrebbero voluto esercitare dopo quasi tre decenni di carcerazione. E invece dovranno rimanere ancora nel limbo, scontando una pena paradossalmente ritenuta, ma non dichiarata, illegale, incostituzionale.

E perché? A monte per dare ancora tempo a un Parlamento che si è dimostrato palesemente inetto, che non meritava affatto l’extratime, se solo pensiamo che il testo approvato alla Camera è arrivato in Senato il primo aprile, un anno esatto dopo la decisione della Corte. A valle perché è lecito chiedersi se i giudici non possano aver sentito la pressione venuta non solo da Palazzo Madama ma da tutte quelle voci dell’antimafia che hanno ipotizzato scenari catastrofici con pericolosi boss in libertà qualora la Corte avesse dichiarato l’incostituzionalità senza una legge d’appoggio.

Ma poi siamo sicuri che l’8 novembre la partita si chiuda? Nelle seconde memorie depositate dall’Avvocatura dello Stato leggiamo che l’attuale fase dell’iter parlamentare «fa ritenere prossima l’emanazione della legge». Ma come si può sostenere una tesi del genere? Questa norma è stata, e lo è ancora, terreno di scontro tra le forze politiche, ognuna delle quali vuole rivendicare un pezzo di risultato. Chi ci dice che il testo che quasi sicuramente verrà modificato al Senato venga accolto senza ulteriori limature nel suo ritorno alla Camera? E chi ci assicura che se l’ 8 novembre non ci sarà ancora una nuova legge la Consulta, per i motivi di cui sopra, non conceda altro tempo, dopo questo precedente? Tra l’altro fra i giuristi aleggia una ulteriore domanda: l’eventuale legge approvata in Parlamento sarà vagliata dalla Corte, per valutarne la conformità a Costituzione e alle motivazioni adottate nell’ordinanza 97, oppure si potrebbe avere una restituzione degli atti al giudice a quo, per rivalutare la non manifesta infondatezza? Il giudice a quo potrebbe a quel punto addirittura rinviare gli atti alla Corte costituzionale e quel diritto alla speranza verrebbe del tutto mortificato.

Tra i non molti che sono disposti a condividere una chiave di lettura critica vanno segnalati i dirigenti di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, Sergio d’Elia ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente presidente, segretario e tesoriere: «Si proroga per altri 6 mesi la violazione di articoli della Costituzione italiana e della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che la Consulta stessa aveva rilevato con l’ordinanza di un anno fa. La Corte ha oggi manifestato la massima considerazione degli interessi dei partiti rappresentati in Parlamento e il minimo rispetto per la vita e la dignità di 1200 ergastolani che continuano a essere vittime dell’illegalità del regime ostativo».

Bernardini, D’Elia e Zamparutti ricordano che «solo in questa ultima settimana, nel giro delle carceri in Sardegna autorizzato dal nuovo capo del Dap Carlo Renoldi e fatto insieme alle Camere penali, hanno incontrato decine e decine di ergastolani ostativi. I detenuti nutrivano fiducia nella Consulta», aggiungono, «una fiducia che è stata tradita. Continueremo a essere speranza contro ogni speranza affinché a distanza di trent’anni dalla introduzione dei regimi ostativi», è la conclusione, «il nostro Paese abbandoni la terribilità della pena e abbracci lo Stato diritto, i diritti umani, di cui è parte fondamentale il diritto alla speranza».