Addio liquidazione dei compensi sotto i minimi: unordinanza di Cassazione conferma e consolida la giurisprudenza in favore dellequo compenso per gli avvocati.La pronuncia (n. 2147/2018) depositata il 31 agosto, infatti, sancisce espressamente la vincolatività dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, stabilendo come il decreto n. 55/2014 del Ministero della Giustizia (che allarticolo 4 fissa un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti) sia derogativo, secondo il principio di specialità, rispetto al decreto n. 140/2012 dello stesso ministero. Questultimo disponeva che «in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa». Lordinanza, invece, ha riconosciuto come «il decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 2014, nella parte in cui determina un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti», può considerarsi derogativo del decreto 140/2012, in quanto «il d. m. n. 140 risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della Ue, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, lavvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per lincarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d. m. n. 55, il quale non prevale sul d. m. n. 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità». La Cassazione, infatti, ha chiarito come il d. m. 140 sia «evidentemente generalista e rivolto a regolare la meteria dei compesi tra professionista e cliente», mentre il d. m. 55 «detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa». In buona sostanza, dunque, la decisione porta un riequilibrio di sistema a tutela del decoro professionale, come auspicato e sostenuto in ogni sede dal Consiglio Nazionale Forense.Lordinanza è stata accolta con soddisfazione dal presidente del Cnf, Andrea Mascherin: «La Cassazione ribadisce il divieto di deroga ai limiti minimi previsti (ora in modo ancor esplicito) dai parametri, considerati norma speciale. Assieme alle prime delibere delle Regioni per lapplicazione dellequo compenso, si inizia a ricostruire la tutela del compenso decoroso e quindi equo». Si fortifica, in questo modo, il filone giurisprudenziale che fissa il divieto per il giudice di liquidare sotto i minimi il compenso professionale dellavvocato: già nel 2015 e nel 2016 due sentenze di Cassazione e una della Corte di Giustizia Europea avevano riconosciuto lillegittimità di compensi tali da «violare il decoro» della professione.I nuovi parametri forensi, esplicitati dal Ministero su sollecitazione del Cnf con il d. m. 37/2018 ("Regolamento recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense), interpretano quindi correttamente la normativa già vigente e la stessa Cassazione confermato la loro legittimità, inibendo definitivamente interpretazioni di comodo. Vi è quindi un coerente sviluppo normativo ed interpretativo giurisprudenziale, che conferma la correttezza della posizione del Cnf e la validità dei principi invocati nel richiedere la legge sullequo compenso che - come ribadito dalla Suprema Corte - non viola i principi di libera concorrenza o della normativa europea, quando impone il rispetto di soglie numeriche minime.Si è quindi formato un orientamento favorevole alla legittimità di un compenso che sia equo e conforme al decoro professionale che dovrà estendersi, oltre che alle liquidazioni giudiziali, anche alle determinazioni negoziali, in virtù della generalità del principio. In altre parole, lequità del compenso sancito dalla legge 172/2017 (che espressamente richiama i parametri forensi disposti dal d. m.) dovrebbe essere vincolante non solo nei rapporti professionali con la pubblica amministrazione (principio che ha prodotto atti di indirizzo in Toscana, Calabria e Sicilia), ma anche in quelli privati.