«Fieramente seduti dalla parte del ( presunto) torto ». Una frase commovente. Che contiene tutto: tutti i principi dell’avvocatura, quelli sublimati nella toga in cui all’ultimo congresso forense il presidente del Cnf Mascherin considerò «avvolti tutti i deboli». A “firmarsi” con quella frase sono i penalisti di Milano, in uno splendido comunicato. Il «presunto torto» a cui si riferiscono i penalisti è quello di Luca Palamara. Che, ricordano, «nessuno dei magistrati colleghi avrebbe accettato di difendere», come sarebbe invece «previsto dalla procedura».

Ed è così. L’ex presidente dell’Anm, l’ex rappresentante di tutti i pm e i giudici d’Italia non ha trovato uno straccio di collega disponibile ad assumere, come di solito avviene, la sua difesa dinanzi alla sezione disciplinare del Csm. Martedì scorso si è celebrata la prima udienza del procedimento a Palazzo dei Marescialli. E, come ricorda la nota firmata dal consiglio direttivo della Camera penale milanese, Palamara «sarebbe stato costretto ad andarci da solo con i suoi avvocati». Gli unici che gli rimangono» e che il magistrato, osservano i penalisti, «ringrazia per il sostegno giuridico ed umano». Il pm indagato a Perugia e “incolpato” dinanzi al Csm non ha nascosto il suo comprensibile rammarico: «Nella sua memoria difensiva» Palamara infatti ha dovuto osservare, ricorda ancora il documento, «che “l’articolo 24 della nostra Costituzione dovrebbe valere per tutti, nessuno escluso, ed è una delle prime cose che si studia per diventare magistrato...”

». E invece, «nessun magistrato vuol sporcare la propria immagine», un fatto che, dicono i penalisti, «fa riflettere». Fa pensare che «una tale presa di posizione sia figlia di quella diffusa percezione secondo cui difendere l’accusato significhi un po’ difendere anche il reato, giudicare e condividerne le condotte». Si osserva quindi nella nota: «Sostiene Palamara che l’articolo 24 è una delle prime cose che si impara per diventare magistrati. Sarà. Ma la condotta dei suoi colleghi fa sorgere più di una perplessità su quanto sia profondo ed effettivo tale insegnamento e su quanto invece sia radicato, e non solo in certo sentire comune, il convincimento che la difesa non sia un altissimo principio di civiltà, ma un inutile orpello, quando non una pericolosa commistione col crimine, dalla quale è meglio tenersi lontani. Tutti seduti dunque dalla parte della ragione», chiosa la Camera penale di Milano con amara e sottile ironia. A cui fa seguire quella invocazione esemplare, «fieramente seduti dalla parte del ( presunto) torto». Le parole lasciano comprendere quanto sia contagiosa l’inconcepibile distorsione che spinge tanti utenti dei social ad aggredire verbalmente - a volte non solo - gli avvocati di persone indagate per reati particolarmente odiosi. Una distorsione radicata addirittura in chi, come i magistrati, dalla sacralità del diritto di difesa dovrebbe essere sempre ispirato. “Se nessun giudice sa fare l’avvocato”, è il titolo del documento firmato dai penalisti milanesi. Andrebbe incorniciato in ogni tribunale.