Breve rinvio prima della sentenza nel processo a carico dell'ex presidente dell’Anm Luca Palamara. La sezione disciplinare del Csm si è aggiornata a questa mattina. L’udienza di ieri è stata dedicata alla requisitoria della Procura generale della Cassazione e all’arringa della difesa. Oggi sono in programma brevi repliche sia dell’accusa che del difensore di Palamara, il quale dovrebbe poi rendere dichiarazioni spontanee. Quindi il collegio, presieduto dal laico Fulvio Gigliotti, entrerà in camera di consiglio. La Procura generale ha già formulato le richieste: rimozione dall’ordine giudiziario. La sanzione massima per un magistrato.

«Per fortuna c’è il trojan», aveva esordito ieri mattina l’accusa, rappresentata dall’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta e dal sostituto pg della Cassazione Simone Perelli. «Grazie al virus spia che era stato installato nel telefono di Palamara da parte della Procura di Perugia è stato possibile conoscere i fatti dell’hotel Champagne», definiti «un unicum nella storia della magistratura italiana. Almeno tre soggetti estranei alle funzioni istituzionali, per differenti ma convergenti interessi personali, hanno pilotato e promosso la nomina del procuratore di Roma, quella dell’aggiunto e programmato quella di Perugia». La requisitoria di Gaeta è iniziata così, ripercorrendo quanto accaduto nella riunione notturna dell’ 8 maggio 2019 nell’albergo romano a cui parteciparono, oltre a Palamara e 5 ex togati del CSM, i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri. «Quella riunione non è stata un’interlocuzione tra la componente politica e togata del Csm nell’ambito del perimetro costituzionale», ma «esorbita da quel perimetro, perché piega l’interlocuzione a forme di interesse privato: chi rappresentava Lotti se non se stesso e il suo personale interesse? E Palamara? E Ferri? - ha detto Gaeta - E quali interessi rappresentavano gli ex togati, che non erano certo stati votati dai magistrati per incontrarsi con Lotti sulla nomina del procuratore di Roma?». Un incontro «fuori da qualsiasi schema legale”, secondo l’avvocato generale, in cui «a tutti era noto l’oggetto della discussione, la presenza di Ferri e Lotti e l’obiettivo della messa in sicurezza della scelta sulla nomina di uno dei candidati a Roma».

Gaeta, quindi, ha respinto «ogni ipotesi minimalista o banalizzante: a chi dice ’ si è fatto sempre così’, rispondo che non è vero. In questo caso non si può dire, perché c’è una congiunzione di interessi di soggetti tutti estranei alle dinamiche consiliaria. Quanto a Lotti, «non abbiamo moralisticamente censurato ha aggiunto - la presenza di un imputato ( nel processo Consip, ndr) in quanto tale, ma il fatto che ha fornito un contributo fattivo alla scelta: non è stato un convitato di pietra, muto nel corso di una discussione tra magistrati». Tutt’altro scenario per il consigliere di Cassazione Stefano Giaime Guizzi, difensore di Palamara, secondo cui Lotti «non fornì alcun contributo alla nomina» del procuratore di Roma: la sua presenza alla riunione all’hotel Champagne «rappresenta un grave profilo di inopportunità», ma «l’assunto della Procura generale per cui Lotti fu un potenziale codecisore sulla scelta della nomina non trova conforto negli elementi dell’inchiesta». L’ex ministro dello Sport doveva parlare con Palamara della nomina di quest’ultimo «all’Authority della Privacy», ha puntualizzato Guizzi. «Il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi è un atto di natura politica: le nomine non vengono fatte solo per merito, ma sono una scelta anche di tipo politico», ha poi aggiunto Guizzi, ricordando il ruolo delle correnti. «Palamara e Ferri, che sono ritenuti leader di corrente, avevano quindi titolo a interloquire sulle nomine, perchè la Quinta Commissione del Csm non è una semplice commissione giudicatrice di concorso», ha allora osservato il difensore di Palamara. Guizzi ha ancora una volta ricordato i 133 testimoni non ammessi e i dubbi sull’ammissibilità delle intercettazioni telefoniche, dichiarandosi pronto ad andare alla Cedu.

Un intervento pronunciato davanti a un collegio di cui fa parte anche Piercamillo Davigo. La cui possibile uscita dal Consiglio superiore, e dunque dalla sezione disciplinare, avrebbe potuto far insorgere notevoli ostacoli, con il rischio di dover rinnovare l’istruttoria dibattimentale in seguito all’eventuale sostituzione dell’ex pm di Mani pulite. Ipotesi che non sarebbe stata irrealistica, considerato che si è appreso dell’orientamento sfavorevole pronunciato nel parere dell’Avvocatura dello Stato alla permanenza di Davigo al Csm dopo il congedo. Ma ha provveduto il ritmo fulmineo del disciplinare su Palamara, a recidere il problema alla radice.