È uscito ieri. Ed è già un caso, ovviamente. “Il Sistema”, il libro-intervista di Luca Palamara con Alessandro Sallusti edito da Rizzoli, si fa notare già per il “promettente” sottotitolo: “Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”. Si tratta di un evento editoriale atteso da tempo da parte di molti “addetti ai lavori” del mondo della giustizia: toghe, politici, uomini delle istituzioni. Da un lato la naturale curiosità, dall’altro il timore di essere stati tirati in ballo dall’ex presidente della Anm, recentemente radiato dalla magistratura.

Verso la definitiva delegittimazione delle toghe

Il volume ripercorre dieci anni di storia del Paese. Ciò che emerge già dalla lettura delle prime pagine non è molto edificante e, probabilmente, contribuirà ad accelerare il processo di delegittimazione, già in atto da tempo, della magistratura italiana. Delegittimazione del potere giudiziario che d’altronde non può essere considerata una colpa di Palamara. Il quale ha solo avuto il “merito”, se così si può dire, di raccontare per primo episodi e circostanze di cui molti avevano avuto da tempo il sentore. Molto spazio è dedicato alle nomine “pilotate” di cui in questi mesi si è avuta contezza con la lettura delle chat fra Palamara e centinaia di magistrati. “Normalmente funziona che se le correnti si accordano su un nome, può candidarsi anche Calamandrei, padre del diritto, ma non avrà alcuna possibilità di essere preso in considerazione”, precisa serafico l’ex pm della Procura di Roma.

Pm-giornali, vero blocco di potere

La magistratura, nella ricostruzione di Palamara (e Sallusti), è riuscita a influenzare in maniera determinante la politica italiana, dando vita appunto a un “Sistema”, come da titolo del libro, che non ammette defezioni. Chi prova a cambiarlo viene “abbattuto” con vari metodi: dossieraggi su giornali compiacenti, procedimenti penali, pratiche disciplinari al Csm. Tanti gli episodi raccontati nelle circa 300 pagine. Un capitolo, che merita di essere letto con attenzione, riguarda i rapporti fra i magistrati e informazione. “La vera separazione delle carriere non dovrebbe essere quella tra giudici e pm ma tra magistrati e giornalisti”, esordisce Palamara. “Magistrati e giornalisti - lo dico anche per esperienza personale - si usano a vicenda, all’interno di rapporti che si costruiscono e consolidano negli anni. Il giornalista vive di notizie, ogni testata ha una sua linea politica dettata dall’editore, che ha precisi interessi da difendere. Il pm li conosce bene, e sa che senza quella cassa di risonanza la sua inchiesta non decollerà, verrebbe a mancare il clamore mediatico che fa da sponda con la politica”.

Le vere cene segrete di Palamara

“È inevitabile”, si legge ancora nel libro-intervista, “che una frequentazione assidua porti a una complicità professionale, a volte anche a un’intimità personale più o meno clandestina che crea qualche imbarazzo tra i colleghi”. Un’analisi impietosa sulla qualità del giornalismo giudiziario del Paese, che vede troppo spesso il racconto dei fatti sostituito dalla trascrizione delle veline delle Procure. Ma, aggiunge poi sibillino Palamara, “c’è anche un livello superiore: io stesso ho avuto modo di partecipare a incontri riservati tra importanti direttori e procuratori impegnati su inchieste molto delicate”. Solo che l’ex numero uno dell’Associazione nazionale magistrati non fa i nomi.

Il circo mediatico-giudiziario che ha stritolato pure l’ex capo Anm

Il magistrato a cui il Csm ha inflitto la radiazione, ma che discuterà ora il ricorso dinanzi alle Sezioni unite della Cassazione, è rimasto vittima per primo, va detto, di quel “meccanismo” di reciproca utilità fra magistrati e giornalisti. Il 29 maggio del 2019 tre importanti quotidiani nazionali aprirono la loro prima pagina proprio sull’inchiesta di Perugia avviata nei suoi confronti. Gli articoli erano sostanzialmente identici, ad iniziare dai titoli: “Corruzione al Csm: il mercato delle toghe”, “Una inchiesta per corruzione agita la corsa per la Procura di Roma”, “L’accusa al pm Palamara complica i giochi per la Procura di Roma”. Le indagini a Perugia a quel tempo non si erano concluse, e la fuga di notizie, su cui nessuno ha mai indagato, ebbe come conseguenza quella di far saltare la nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma.

«Mi iscrissi a Md perché comandava»

Nel libro sono riportati anche dettagli sul passato giovanile “progressista” di Palamara. Il motivo è semplice: “La maggior parte dei colleghi che contano sono iscritti a Magistratura democratica, la corrente di sinistra della magistratura”. A un certo punto, ricorda l’ex pm di Roma, “capisco che ho bisogno di una protezione e per questo mi iscrivo alla corrente di Magistratura democratica. Ecco, in quel momento, anche se ancora non ne ho piena coscienza, varco la porta ed entro nel Sistema”. Poi, compreso che Md è una “corrente ideologica e non scalabile con la mia storia”, maturerà la scelta di passare a Unicost di cui diventerà il leader incontrastato per un decennio.