Da una parte l'Anm, dall'altra l'Unione delle Camere Penali, al centro la proposta del Governo di riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario. Uno scontro a distanza, oggi, durante le audizioni convocate dalla Commissione Giustizia della Camera. Se i primi hanno detto no ai tentativi della Cartabia di responsabilizzare maggiormente la magistratura, i secondi hanno tacciato la proposta approvata a Palazzo Chigi di essere ancora troppo debole. «È pericoloso agganciare le valutazioni di professionalità di un magistrato all’andamento successivo degli affari trattati. Come se un’assoluzione in appello dopo una condanna rappresentasse un errore: questo è un luogo comune che si sta pericolosamente diffondendo», ha detto Giuseppe Santalucia, presidente dell'Anm. «Questo luogo comune - ha proseguito - sta generando molta sfiducia nell’amministrazione della giustizia. Il processo è fatto per accertare la verità. È laborioso e complesso. Bisogna rispettarne tutte le fasi». Bocciata altresì l'articolazione del giudizio relativo alla capacità di organizzazione del lavoro in discreto, buono o ottimo: «Sul discorso delle pagelle, noi non vogliamo non essere valutati. Però le valutazioni periodiche di professionalità dovrebbero intercettare le lacune, le cadute di professionalità, capire se il magistrato è in grado di tenere il passo assicurato a tutti i cittadini. Non possono diventare un momento in cui si vive una competizione. Se si sganciano da positivo/negativo introducono un'ansia competitiva, perché un voto diverso potrà pesare quando un magistrato vorrà concorrere per un incarico (semi) direttivo». Santalucia esprime anche il no del “sindacato” delle toghe in merito ad una «eccessiva» separazione delle funzioni: «Distinguere troppo significherebbe isolare il pm all’interno dell’unicità delle carriere». La vice presidente Anm Alessandra Maddalena ha invece partecipato il no al voto degli avvocati nei consigli giudiziari, stigmatizzando anche la proposta del Pd del voto attraverso un parere del Coa: «Questa soluzione non è in grado di superare il rischio di personalizzazione: i Consigli dell'Ordine sono pur sempre organi elettivi, con maggioranze e minoranze, e il voto potrebbe influire sulla indipendenza e serenità di giudizio del magistrato. Bisogna anche pensare che i distretti non sono tutti uguali: in quelli più grandi il rischio potrebbe essere inferiore, ma in quelli piccoli il rapporto tra magistratura e avvocatura è particolarmente complesso». Sul tema delle porte girevoli ha parlato il segretario Casciaro: «Il magistrato che, come qualsiasi altro cittadino, aspira ad avere una carica elettiva dovrebbe mantenere il "suo" posto di magistrato e non diventare un dirigente amministrativo all’esito. L’articolo 51 della Costituzione mira a incentivare la partecipazione alle cariche e agli uffici pubblici di tutti i cittadini, indistintamente», ha proseguito. Il fatto che «chi si candida perda il suo posto di lavoro originario e debba convertirsi ad una attività di amministrazione a mio avviso rappresenta un profilo di criticità». È arrivato poi il turno di Eriberto Rosso, segretario dell'Ucpi, che si è espresso sugli stessi temi affrontati dall'Anm, a dimostrazione che la partita sta tutta lì: «Il maxiemendamento proposto dal Governo ha certamente un passo diverso rispetto alla delega Bonafede, ma si tratta ancora di una riforma debole, non in grado di risolvere problemi e contraddizioni che meriterebbero risposte ben più incisive. L’intervento sui meccanismi di valutazione della qualità del lavoro del magistrato, ai fini della garanzia della sua preparazione professionale e della sua idoneità al ruolo, restano comunque confinati nella attuale autoreferenzialità. Sarebbe necessario un allargamento della platea dei soggetti legittimati al giudizio e il ricorso a parametri specifici in grado di riconoscere il merito». A proposito della separazione delle funzioni, «la vera risposta alla evidente crisi di consenso sociale della magistratura - replica Rosso indirettamente anche ai promotori dei referendum Lega e Partito Radicale - è la separazione delle carriere tra i giudici e pm. La proposta di legge di iniziativa popolare dell'Ucpi e dei settantaquattromila cittadini che l’hanno sottoscritta giace in Parlamento ed è la sola riforma in grado di garantire l’effettiva terzietà del giudice. Il prossimo referendum, che pure ha ad oggetto la sola separazione delle funzioni, può comunque rappresentare un chiaro messaggio politico per l’unica legge in grado di attuare i principi del giusto processo». Inoltre, «gli avvocati nominati nei consigli giudiziari non possono avere solo diritto di tribuna ma a loro deve essere riconosciuto il diritto di voto in relazione a tutte le funzioni connaturate all’esercizio del mandato. Solo una visione preconcetta, come quella che è solita ribadire Anm nelle sue prese di posizione, porta a immaginare l’avvocato come soggetto astioso e incapace di serenità di giudizio proprio con riferimento alle valutazioni dei magistrati del distretto di appartenenza. Gli avvocati sanno ben riconoscere doti di equilibrio e competenze». Invece le previsioni sui fuori ruolo «sono solo un piccolo passo; l’unica riforma adeguata sarebbe quella che non consentisse più che i magistrati selezionati per l’esercizio della giurisdizione vadano a ricoprire ruoli che rappresentano una evidente commistione tra potere giudiziario e politica». Infine «i magistrati che scelgono la politica debbono poi essere fuori dalle funzioni giurisdizionali».