Sono passati oltre tre anni da quando, nel 2013, l’Italia venne condannata dalla CEDU con l’ormai storica sentenza “Torreggiani” per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, cioè il divieto di tortura o di trattamenti disumani e degradanti.La condanna, come si ricorderà, nasceva dal ricorso di alcuni detenuti delle carceri di Busto Arsizio e Piacenza che lamentavano di essere stati costretti a vivere in meno di tre metri quadrati a testa, di non aver potuto regolarmente usufruire delle docce e di non aver avuto sufficiente illuminazione nella cella.I giudici di Strasburgo, con quella sentenza, aprirono di fatto una nuova emergenza carceri nel Paese, affermando che il sovraffollamento carcerario rappresentava ormai un “problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano”.Il governo italiano, costretto a misure d’emergenza per evitare ulteriori conseguenze a livello europeo e, soprattutto, altre condanne, varò una seria di provvedimenti legislativi. Il più celebre fu senza dubbio il decreto legge n. 92 del 26 giugno 2014 che, recependo le prescrizioni della Corte di Strasburgo, stabiliva un “risarcimento” per i detenuti reclusi in condizione di sovraffollamento.Tale risarcimento, su domanda dell’interessato, sarebbe consistito in uno sconto di pena di un giorno ogni 10 giorni di carcerazione subita in condizione inumane.I magistrati di sorveglianza vennero incaricati di provvedere al riguardo, valutando le istanze presentate dai detenuti.Per i detenuti già scarcerati, invece, venne stabilito un risarcimento pari ad 8 euro per ogni giorno di detenzione trascorso in condizione di sovraffollamento. Sempre a domanda dell’interessato da presentarsi, questa volta, al tribunale civile che avrebbe deciso in composizione collegiale.La norma prevedeva, infine, che questi rimedi risarcitori fossero soggetti a decadenza se non richiesti entro sei mesi dalla data della scarcerazione.Leggendo i dati sui risarcimenti erogati, aggiornati al primo semestre del 2016, sembra che in Italia non ci sia però mai stata alcuna “emergenza carceri”, e che tutto sia stato il frutto di una strumentalizzazione mediatica orchestrata dai radicali, da sempre particolarmente sensibili su questo tema, o dalle associazioni che si occupano dei problemi dei detenuti.In questi anni, degli oltre 20 milioni di euro che il governo aveva stanziato nel 2014 temendo una valanga di ricorsi, ne sono stati erogati per i risarcimenti appena 500 mila.I motivi? Molteplici.In primo luogo le varie sentenze della Cassazione che si sono succedute nel tempo e che hanno ingenerato confusione sul concetto di “attualità” del trattamento inumano e degradante. Nel senso che se al momento della presentazione del ricorso il detenuto non era più ristretto in un loculo, essendo venuta meno l’attualità della domanda, questo veniva dichiarato inammissibile.Poi la difficoltà intrinseca nel ricostruire la “storia” carceraria del detenuto. Nei casi di lunghe carcerazioni, ad esempio, con frequenti spostamenti di cella o, addirittura, di carcere, non è affatto facile risalire al momento preciso della condizione di recluso in un contesto sovraffollato.Ma, ed è questo l’aspetto principale su cui bisogna soffermarsi, e che i più maliziosi dicono sia stato fatto apposta per scoraggiare la presentazione dei ricorsi, la procedura prevista dalla legge per l’ottenere il risarcimento.Cioè la causa civile da predisporre davanti al giudice. Causa che di per se comporta un costo per il detenuto fra contributo unificato da versare direttamente ed onorario dell’avvocato che deve curare il procedimento davanti al tribunale.Il detenuto, infatti, oltre al normale avvocato penalista, in molti casi deve affiancarlo anche da un civilista per la trattazione di questo genere di ricorso.Senza considerare, poi, che molti di questi sono detenuti sono soggetti estremamente fragili. Con problemi di tossicodipendenza o di clandestinità. E quindi portati a rinunciare ad affrontare un nuovo contenzioso.Per far fronte alla complessità della procedura risarcitoria, in questo periodo, si è sopperito con l’aiuto di associazioni di volontariato o con la meritoria attività di avvocati che, senza compenso alcuno, hanno seguito il procedimento civile.Al danno per i mancati risarcimenti, però, a breve potrebbe aggiungersi la beffa.Come ventilato da molti, il governo sarebbe intenzionato a “stornare” dal capitolo di bilancio questi milioni di euro che non sono stati spesi. Soldi che, pare, dovrebbero essere destinati per i pagamenti delle attività di intercettazione telefonica. Da sempre un pozzo senza fondo per il bilancio del ministero della Giustizia.Ci auguriamo di essere smentiti.