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ingiusta detenzione
Louise Powell, 31 anni, aveva chiesto soccorso per ben tre volte, e per tre volte il personale medico del carcere femminile di Styal nel Cheshire (500 detenute) l’ha ignorata. Incinta di sette mesi e mezzo, pochi minuti dopo avrebbe messo al mondo la sua bambina, ma qualcosa chiaramente non stava andando per il verso giusto, troppo sangue, troppo dolore. Una guardia carceraria si accorge delle urla, prova a chiamare i medici e le infermiere, invano, il telefono suona ma dall’altro capo nessuna risposta. A quel punto la situazione diventa disperata, la guardia l’accompagna nel bagno più vicino, cerca di aiutarla come può, ma è troppo tardi: in condizioni degne di un paese del terzo mondo Louise partorisce Brooke, una neonata di circa due chili in fin di vita, che morirà poco più tardi a bordo di un’ambulanza partita anch’essa con colpevole ritardo. «Non potrò mai perdonare quei medici per avermi lasciata sola mentre chiedevo aiuto, mi sentivo come se stessi morendo, nessuna donna merita di subire un simile orrore, in carcere siamo trattate come numeri», ha raccontato Louise Powell, nel frattempo tornata in libertà, in un’intervista alla Bbc. I fatti risalgono allo scorso giugno ma sono trapelati solamente negli ultimi giorni grazie a un’inchiesta del Prisons and Probation Ombudsman (PPO): secondo gli investigatori Louise Powell aveva segnalato i sanguinamenti il giorno precedente il parto, ma per l’infermiera che l’aveva visitata si trattava di normali perdite. Inoltre quando Brooke è uscita dalla pancia della madre respirava ancora; il ritardo dell’ambulanza potrebbe essere stato fatale. La vicenda, diventata un caso nazionale, ha scosso l’opinione pubblica britannica illuminando il dramma spesso invisibile della condizione carceraria nel Regno Unito: strutture inadeguate, affollate oltre la capienza prevista e un accesso alle cure da parte dei detenuti ben sotto gli standard di una nazione civile. Il difensore civico delle carceri e della libertà vigilata Sue McAllister ha accusato il personale sanitario della prigione: «La donna era in chiara sofferenza e stava sanguinando vistosamente, doveva essere curata diverse ore prima del parto, è stato commesso un gravissimo errore di giudizio, non si può lasciare senza cure qualcuno in quello stato, chiunque esso sia». Secondo Jane Ryan avvocato di Louise Powell, Brooke, per quanto prematura, avrebbe potuto essere salvata se i medici fossero intervenuti tempestivamente e il parto fosse avvenuto nell’ospedale della prigione: «Ci sono state diverse opportunità, diverse finestre temporali per aiutare Louise ma il comportamento del personale medico è stato al limite del disumano, al contrario le guardie che l’hanno soccorsa sono state molto solerti e hanno fatto di tutto per salvare la bambina ma purtroppo non ne avevano i mezzi». L’inchiesta del PPO ha prodotto un rapporto dettagliato che ora giace sul tavolo della ministra delle prigioni inglese Victoria Atkins. Rapporto in cui si chiede al governo di agire con rapidità e determinazione perché drammi del genere non accadano mai più. In particolare si raccomanda una formazione adeguata per le infermiere dei penitenziari femminile affinché siano in grado di riconoscere il travaglio precoce delle detenute in gravidanza e di intervenire efficacemente in caso di urgenze mediche. «Abbiamo già implementato le raccomandazioni del rapporto e sono già stati apportati importanti miglioramenti alle cure ricevute dalle detenute in gravidanza. Stiamo anche esaminando come possiamo monitorare meglio la gravidanza nelle carceri in modo che nessuna donna cada attraverso le crepe del sistema», ha promesso Atkins messa alla berlina dai media. Il caso di Louise Powell putroppo non è isolato: otto mesi fa un’adolescente aveva messo alla luce un bambino morto nella prigione di Bronzfield, nel Middlesex priva di qualsiasi aiuto medico. Anche questa tragedia è emersa dopo un’inchiesta degli ispettori del PPO. Se il governo promette di attuare miglioramenti in tempi brevissimi, le associazioni che si battono per i diritti delle detenute e delle donne in gravidanza chiedono dal canto loro provvedimenti più radicali, in modo che nessuna donna sia costretta a partorire dietro le sbarre. «Non possiamo continuare a fingere: il sistema carcerario non è e non sarà mai un luogo sicuro o appropriato per partorire un bambino. Il governo deve permettere il rilascio anticipato delle detenute incinte, che in ogni caso non possono affrontare la gravidanza all’interno di strutture fatiscenti e sovraffollate», dice Kirsty Kitchen dell’ong Birth Companions. In effetti Louise Powell, condannata a otto mesi per un’aggressione, non è certo un’incallita criminale e avrebbe potuto scontare tranquillamente la sua pena agli arresti domiciliari e come lei migliaia di altre donne costrette a vivere il parto come una roulette russa.