«Le parole del senatore della Repubblica Matteo Renzi, pronunciate non appena ha appreso della richiesta di rinvio a giudizio per la vicenda Open, travalicano i confini della legittima critica e mirano a delegittimare agli occhi della pubblica opinione i magistrati che si occupano del procedimento a suo carico». A scriverlo è la giunta dell’Anm dopo il j'accuse di Matteo Renzi ai pm fiorentini nell'ambito dell'inchiesta sulla fondazione Open. Nel giorno in cui la procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per il leader di Italia Viva, la deputata Maria Elena Boschi, capogruppo Iv alla Camera, e il deputato del Pd Luca Lotti, Renzi infatti firma una formale denuncia penale nei confronti dei magistrati Creazzo, Turco, Nastasi. L’atto sarà trasmesso alla Procura di Genova, competente sui colleghi fiorentini, per violazione del’articolo 68 Costituzione, della legge 140/ 2003 e dell’articolo323 cp. «Io non ho commesso reati, spero che i magistrati fiorentini possano in coscienza dire lo stesso», commenta il senatore. Che poi sottolinea: «È utile ricordare che la richiesta è stata firmata dal Procuratore Creazzo, sanzionato per molestie sessuali dal CSM», con riferimento al procedimento disciplinare davanti al Csm che è costato al procuratore di Firenze la perdita di due mesi di anzianità. Un attacco, questo, non molto gradito dal sindacato delle toghe. Che scrive: «I pubblici ministeri che hanno chiesto il processo nei suoi confronti sono stati tacciati di non aver la necessaria credibilità personale in ragione di vicende, peraltro oggetto di accertamenti non definitivi o ancora tutte da verificare, che nulla hanno a che fare con il merito dei fatti che gli sono contestati - si legge nella nota -Hanno adempiuto il loro dovere, hanno formulato una ipotesi di accusa che dovrà essere vagliata, nel rispetto delle garanzie della difesa, entro il processo, e non è tollerabile che siano screditati sul piano personale soltanto per aver esercitato il loro ruolo. Questi inaccettabili comportamenti, specie quando tenuti da chi riveste importanti incarichi istituzionali, offendono i singoli magistrati e la funzione giudiziaria nel suo complesso, concorrendo ad appannarne ingiustamente l’immagine di assoluta imparzialità, indispensabile alla vita democratica del Paese». Secondo i pm, Renzi avrebbe utilizzato la Fondazione  per finanziare il suo partito, raccogliendo soldi da privati per eventi legati alla propria attività. La tesi, dunque, è che Open agisse come articolazione di partito, e che quindi dovesse rispettare obblighi più stringenti nella raccolta e gestione delle donazioni.  Tesi però smontata dalla difesa, che da parte sua evidenza i «grossolani» errori dell’accusa. L’udienza preliminare è stata fissata per il prossimo 4 aprile. Ma intanto la mossa a sorpresa di Renzi riapre lo scontro sul tema più volte ribadito dall'ex premier e già espresso dal palco della Leopolda: quello in atto è un «processo politico alla politica», contrassegnato da procedure illecite. A partire dall’«indebita» acquisizione della sua corrispondenza, in violazione dell’articolo 68 della Costituzione, e quindi delle guarentigie parlamentari. «L’Anm dice che è intollerabile quello che ho detto sui magistrati? La mia vita è stata pubblicata in pasto sui giornali nel silenzio dell’Anm - replica Renzi. La mia vita è stata scardinata con un dolore personale e familiare di cui non parlo. Mi auguro che nessuno viva quello che ha vissuto la mia famiglia». «La magistratura è stata screditata non da quello che ha detto Renzi ma quello che ha fatto Creazzo», incalza il leader di Iv. «Non c’è uno che non sappia che la vicenda finisca con un buco nell’acqua, è una tesi strampalata: pretendono di decidere chi è partito e chi è Fondazione», prosegue il senatore. Che si reclama innocente: «Spero lo siano anche i giudici - ribadisce -. per verificarlo abbiamo chiesto a dei magistrati di verificare il loro operato, perché ci fidiano dei magistrati, non di tutti, ma ci fidiamo».  «Ho citato una frase di Tortora, che ho cercato indegnamente di parafrasare. Io non sono degno di essere accostato a un personaggio così grande che ha subito più forte di noi le conseguenze dell’ingiustizia. Tortora è stato oggetto del più grande scandalo in assoluto della storia repubblicana, l’arresto, l’assurda campagna di odio e i suoi giudici, ma io preferisco parlare di persecutori, hanno fatto carriera. Questa è la cosa incredibile, al netto del dolore: coloro i quali sono stati soggetto di una campagna terribile e assurda hanno fatto carriera».  E ancora: «A marzo ci sarà il conflitto di attribuzione in aula, dirò quello che penso. La politica non può restare tute le volte a capo chino, deve chiedere il rispetto della legge. Io sto chiedendo di rispettare legge, non di non indagare. In un Paese normale non si dovrebbe chiedere di rispettare la Costituzione e la legge». «Prima di fare politica la mia era una onesta famiglia fiorentina - conclude Renzi - ora sembriamo una banda di gangster. Uno dei pm di Firenze ha indagato me, mio padre, mia madre, mia sorella e mio cognato. Ormai è un affetto stabile della mia famiglia». A non gradire le sue parole non è solo l'Anm. Anche Rossella Marro, presidente nazionale Unicost, commenta la reazione di Renzi: «Occorre chiarire che i pubblici ministeri si sono mossi all’interno delle prerogative che il sistema assegna loro. Hanno raccolto elementi che valutano sufficienti a sostenere in giudizio un’accusa ed hanno richiesto il rinvio a giudizio. Sarà il Gup e poi l’eventuale processo a verificare l’accusa. Questo è quello che accade sempre sulla base del sistema di norme che regola il processo penale. In un sistema in cui non esiste l’immunità parlamentare processuale, questo è quello che accade anche quando imputato è un parlamentare», scrive Marro. «Il senatore Renzi - osserva - ha reagito denunciando penalmente i pubblici ministeri. Questa evenienza dimostra quanto sia pericoloso il quesito referendario che intende introdurre la responsabilità civile diretta dei magistrati, che sarebbero esposti verosimilmente a continue denunce e quindi pressioni in relazione ad atti in cui si estrinseca l’esercizio delle funzioni». «Peraltro - conclude -, quello che è paradossale è che se un pubblico ministero, in presenza di elementi idonei a sostenere in giudizio l’accusa, omettesse di rimettere la valutazione al Gup, potrebbe incorrere in gravi responsabilità disciplinari per violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale».