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procura generale genova aniello zampi
È legittima la sospensione dalla retribuzione e dal servizio di quei dipendenti pubblici per le cui categorie è stato previsto l’obbligo di vaccino anti Covid. Per questo la prima sezione del Tar del Lazio - respingendo il ricorso presentato da 127 lavoratori del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, e della scuola, contro i provvedimenti di sospensione emessi nei loro confronti dalle amministrazioni competenti per non aver assolto all’obbligo vaccinale - ha deciso di non trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, come invece richiesto dai ricorrenti. I giudici amministrativi, con la loro sentenza depositata oggi, hanno ritenuto «manifestamente infondata» la questione di legittimità sollevata nel ricorso dei 127 dipendenti sospesi. «Nel bilanciamento tra l’interesse dei ricorrenti ad esercitare la loro attività lavorativa e le esigenze di tutela della salute pubblica - scrive il Tar del Lazio - è chiaro come il primo sia recessivo. O meglio, lo strumento legislativo previsto per la tutela collettiva no nappare sacrificare in maniera illogica, discriminatoria o eccessiva l’interesse privato». Infatti, «nell’imposizione dell’obbligo - si spiega nella sentenza - il legislatore nazionale ha scelto di procedere per gradi, principiando dai soggetti che maggiormente sono esposti al contagio e che quindi risultano potenzialmente più in pericolo: tra questi, figurano sicuramente gli odierni ricorrenti per i costanti contatti con l’utenza pubblica ed ingenerale con terze persone, anche infette. Quanto poi alle misure per rendere effettivo l’obbligo, le autorità hanno dovuto individuare il margine di compressione della libertà personale del soggetto tenuto ad assolverlo». Nella «scala di possibilità», osservano i giudici, il legislatore «ha optato per una soluzione intermedia rappresentata dall’isolamento dalla comunità lavorativa di riferimento, con sospensione dalla prestazione lavorativa: la sospensione dalla retribuzione costituisce una conseguenza naturale dal mancato servizio prestato, sicché in nessun modo può ipotizzarsi una qualche violazione dell’articolo 36 della Costituzione». E ancora: «essendo la vaccinazione un’requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative, appare logico e coerente che l’assenza di questa determini la sospensione del rapporto e della retribuzione», si legge nella sentenza, in cui si sottolinea che la «mancata risoluzione del rapporto di servizio costituisce una evidenza pratica di come il legislatore abbia adottato una soluzione bilanciata che medi tra il contenimento della pandemia e la tutela del lavoro». Anche la limitazione temporale dell’obbligo- prevista al 15 giugno prossimo - rappresenta, secondo il Tar, «un’ulteriore prova dell’effettivo bilanciamento operato dal legislatore al fine di ridurre al minimo il sacrificio per i lavoratori che hanno deciso di non vaccinarsi». L’obbligo vaccinale «non è incompatibile con l’ordinamento liberale e democratico italiano, basato sui fondamentali principi di solidarietà sociale», scrivono infine i giudici amministrativi, secondo i quali «nessun contrasto con l’articolo97 della Costituzione è ravvisabile nella sospensione: anzi, proprio un simile provvedimento - evidenziano - evita di mettere a repentaglio il buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche, in particolare quelle sanitarie». Dunque, nessuna trasmissione degli atti alla Consulta, data la «piena legittimità dei provvedimenti di sospensione impugnati dai ricorrenti».