Inutile se non dannoso. Così Piercamillo Davigo aveva definito il ddl penale di Andrea Orlando. Giudizio d’insieme che non risparmiava la prescrizione. In un faccia a faccia durante “In mezz’ora”, il programma domenicale di Lucia Annunziata su Rai 3, il presidente dell’Associazione magistrati spiegò che la riforma del processo non convinceva le toghe anche per le nuove norme sui tempi di estinzione dei reati, ritenute poco stringenti. Adesso la magistratura associata sembra orientarsi su valutazioni diverse, se non proprio opposte. «Uno stralcio della prescrizione dal testo all’esame del Senato non ci vedrebbe per nulla d’accordo», spiega Eugenio Albamonte, pm a Ro- ma e rappresentante di “Area” nel direttivo Anm.

«L’articolato non pare ricco di misure rivoluzionarie», aggiunge, «e anzi le correzioni alla legge ex Cirielli si segnalano tra i passaggi davvero qualificanti della riforma. Fossero messe da parte, non so fino a che punto avrebbe senso, per il ministro Orlando, una battaglia per l’approvazione del ddl». È una chiave di lettura che potrebbe apparire sorprendente, e che in ogni caso rende ancora più complessa la schermaglia in corso tra magistratura e governo. Eppure il conflitto, arrivato a un passo dallo sciopero dei giudici, si può ridurre a due fronti decisivi. Intanto va ricordato che lo stesso Davigo, in un successivo duello tv col guardasigilli, fece notare: «Sarebbe preferibile una prescrizione interrotta almeno dopo la sentenza di primo grado, ma non possiamo fare la guerra se il mondo non va come vorremmo». Lasciò intendere che le nuove regole erano comunque un passo avanti accettabile anche per i magistrati. «Non è quello che volevamo noi ma è certo meglio della disciplina attuale», conferma Albamonte a nome di “Area”. Alle toghe d’altronde non pare sensato che il testo della riforma venga disossato in ogni sua parte tranne che sul punto più contestato dai pm: la norma che rende obbligatoria l’avocazione da parte del procuratore generale qualora il titolare dell’indagine non decida, in tre mesi, fra richiesta di rinvio a giudizio e archiviazione.

Alla base dello sciopero che il direttivo Anm potrebbe annunciare il prossimo 14 gennaio c’è anche questa innovazione del processo. La seconda questione è ormai cronicizzata: la richiesta finora disattesa di rimediare al contestato ( dai giudici) decreto sulla proroga per i vertici della Cassazione e portare l’età pensionabile a 72 anni per tutti; con il corollario della riduzione a 3 anni del tempo minimo di permanenza nella sede assegnata, almeno per i colleghi al loro primo incarico. Svanita l’occasione del milleproroghe, l’Anm lamenta il tradimento degli impe- gni presi dal governo. Domenica prossima la giunta del “sindacato” dei giudici dovrà mettere a punto una proposta da sottoporre il sabato successivo, il 14 gennaio appunto, al direttivo. Solo i davighiani di “Autonomia & Indipendenza” sono nettamente schierati per lo sciopero. “Unicost” è più prudente, e la stessa “Area” chiede di programmare innanzitutto un’iniziativa forte per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. L’ipotesi più realistica al momento sembra la seguente: nel giorno della cerimonia in Cassazione la magistratura associata potrebbe lasciare vistosamente vuoti gli scranni assegnati, oppure in ciascuna delle inaugurazioni presso le Corti d’Appello il malessere delle toghe verrebbe affidato a un comunicato da leggere in tutti i distretti; qualora il segnale non bastasse a produrre effetti immediati, il direttivo Anm fisserebbe subito la data dell’astensione dalle udienze.

La soluzione sembra questa. È chiaro che i rapporti tra magistratura e esecutivo sono di nuovo molto tesi. Al di là della considerazione di cui Orlando sembra godere presso le toghe. D’altra parte in molti, dentro l’Anm, sanno che lo stesso stralcio della prescrizione dal ddl penale non sarebbe imposto da Orlando. A via Arenula si lascia intendere di voler fare tutto il possibile affinché Palazzo Madama approvi il ddl penale con dentro le norme sulla estinzione dei reati. Ma non è escluso che i precari equilibri del Senato impongano una scelta diversa. Magari su pressione della componente centrista della maggioranza. Le cui perplessità sono di natura opposta a quella dei magistrati innanzitutto sulla prescrizione, ritenuta anche da molti alfaniani fin troppo severa.