«Se guardo a quanto avvenuto in commissione Bilancio non posso fare a meno di notare che il Parlamento usa spesso due pesi e due misure, e non è la prima volta che avviene con noi avvocati». Nunzio Luciano, presidente di Cassa forense, non nasconde lo stupore per la scelta con cui Palazzo Madama ha escluso dalla Manovra le norme sull’equo compenso. «Un paradosso se pensiamo a cosa facciamo noi avvocati per lo Stato italiano, e mi riferisco al sostegno finanziario che la Cassa da me presieduta mette a disposizione del Paese».

Partiamo dai fatti. Le norme sull’equo compenso inserite dal governo nella legge di bilancio sono state escluse senza specifica motivazione: cosa ne pensa?

Prima di tutto che troppe volte il legislatore mostra indifferenza al principio einaudiano che vorrei fosse sempre presente in chi decide per il Paese: si deve ‘ conoscere per deliberare’. Ebbene, ma chi, come il presidente della commissione Bilancio e i senatori che hanno votato con lui, ha stralciato l’equo compenso, sapeva o no che si tratta di una norma per la redistribuzione del reddito? E una norma che ristabilisce un principio di giustizia e redistribuisce la ricchezza, non dovrebbe essere addirittura la prima a entrare in una legge di Bilancio?

Prosegua.

Ecco, mi chiedo ancora: visto che si tratta di misure definite all’esito di un confronto anche impegnativo tra governo e Cnf, e visto che contemplano anche la destinazione dei proventi ricavati dalla parte soccombente nei giudizi tra avvocati e clienti forti, e visto che tale destinazione consisteva nell’alimentare la Cassa ammende, e che insomma dentro c’era oltretutto tale evidente relazione con la finanza pubblica, sulla base di che cosa l’equo compenso è stato escluso?

Lei che spiegazione si è dato?

Non posso fare a meno di notare che non solo nelle Manovre degli scorsi anni ma addirittura in quella appena vagliata dalla commissione Bilancio sono state lasciate parti che non sono propriamente di natura finanziaria. Alcune di queste, com’è noto, riguardano i grandi soggetti economici. Che sono per giunta le controparti nei confronti delle quali l’avvocato potrà far valere il principio dell’equo compenso, nel momento in cui la norma sarà in vigore. Ecco, davvero non posso fare a meno di pensare che si siano adoperati due pesi e due misure. Poi vorrei aggiungere una considerazione che riguarda il ruolo sociale dei noi avvocati.

Prego.

Sono il primo a pensare che vadano eliminate le spese inutili. Ma il costo delle prestazioni legali non è mai ascrivibile a tale novero: assicurare agli avvocati un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto significa avere la garanzia che sia adeguato anche il livello della prestazione. E non mi pare un interesse trascurabile, per il cittadino.

C’è squilibrio tra gli investimenti di Cassa forense e le risposte della politica?

Mi faccia partire da un altro dato di fatto: la nostra funzione sociale si realizza innanzitutto con l’attività quotidiana, a cominciare da quella svolta nelle difese d’ufficio. Pagate malissimo dallo Stato eppure responsabilmente assunte dall’avvocatura. Secondo: l’equo compenso è un principio che può trovare affermazione per l’avvocatura per poi essere doverosamente esteso a tutte le professioni. Perciò aver stralciato questa norma dalla legge di bilancio non è solo un attacco agli avvocati ma a tutti i liberi professionisti.

Rispetto a esecutivi e maggioranze del passato, gli attuali dovrebbero autorizzare ben altre aspettative, da parte delle professioni.

Voglio prescindere dalle colorazioni politiche e constatare ancora un dato di fatto: continuiamo a essere trattati male. Penso ad aspetti di sistema, per esempio ai tassi di interesse praticati agli avvocati e ai professionisti in generale, rispetto a quelli praticati alle imprese: queste ultime pagano interessi più bassi e ottengono credito in maniera veloce, noi che dovremmo essere considerati imprenditori della conoscenza abbiamo i tassi del credito al consumo. E se permette, quando ci penso trovo ancora più urgente che lo Stato rimedi ad ulteriori ingiustizie nei confronti di noi professionisti.

Che intende dire?

Siamo 1 milione e 600mila. Mi riferisco al totale dei professionisti italiani. Conosco bene le statistiche visto che sono anche vicepresidente dell’Adepp. Se consideriamo i nostri dipendenti e le famiglie di ciascuno, arriviamo a circa 6 milioni di persone, il 10 per cento della popolazione italiana. Siamo una forza, che ha reso grande questo Paese: non siamo trattati come sarebbe giusto eppure, nel caso di Cassa forense, assicuriamo prestazioni che di fatto sostituiscono quelle dello Stato e lo sollevano da costi importantissimi. Mi riferisco all’assistenza sanitaria, al welfare assicurato da Cassa forense agli avvocati e concepito secondo una logica di solidarietà da parte dei colleghi con il reddito più elevato nei confronti di chi guadagna meno. Ecco, di fronte a tutto questo vorremmo semplicemente che si comprendessero le nostre esigenze e si evitasse per esempio di tassare le nostre pensioni due volte: una con il sostituto d’imposta che ci compete come Cassa e una seconda, inspiegabile volta quando sui rendimenti del nostro patrimonio, investito per oltre il 50 per cento in titoli di Stato, ci viene applicato un trattamento fiscale pari a quello degli speculatori: il 26%. Chiediamo troppo?

Pare proprio di no. Ma spieghi cosa vuol dire esattamente sostituirsi allo Stato?

Guardi che lo dico senza voler fare affermazioni demagogiche. Cassa forense è orgogliosa di quello che fa. È orgogliosa di rimediare a una situazione forse ignorata da chi assume decisioni come lo stralcio dell’equo compenso. Mi riferisco al fatto che ci sono 100mila colleghi con un reddito effettivo al di sotto di quello di un dipendente pubblico. Non siamo più la classe privilegiata cristallizzatasi nell’immaginazione di qualcuno. A fronte di tutto questo, l’avvocatura si rimbocca le maniche e cerca di provvedere a se stessa anche con gli strumenti del welfare.

Si riferisce alle pensioni?

Le pensioni? Sono solo una delle cose che facciamo. Intanto mi riferisco all’impegno che assicuriamo a sostegno della crescita e delle imprese, piccole e medie innanzitutto, attraverso specifici fondi d’investimento. A quella parte del patrimonio di Cassa forense investita in fondi infrastrutturali come F2i, che finanzia la rete gas, gli aeroporti, l’energia. Vogliamo essere al servizio della crescita. E lo siamo. Gli investitori stranieri puntano sugli asset dove sono già presenti le Casse previdenziali dei professionisti. È così, è un dato di fatto: siamo anche dei decisivi attrattori di ulteriore ricchezza. Come Cassa forense abbiamo il 3 per cento di Banca d’Italia, arriviamo al 10 con le altre Casse professionali. Ci piacerebbe investire in un fondo per l’ammodernamento dei Tribunali e delle carceri. E tutto questo in una situazione in cui svolgiamo ovviamente un ruolo di solidarietà sociale per noi avvocati.

Non solo pensioni, come diceva.

Parliamo di finanziamenti per avviare uno studio che altrimenti i colleghi non otterrebbero mai, per aiutare chi è costretto da questioni di salute a sospendere l’attività, del contributo alle spese delle nostre famiglie per gli asili nido, sempre in una logica in cui il più ricco aiuta il più debole.

Sull’equo compenso si è temuto che i poteri forti potessero prenderlo come uno sgarbo?

Mi pare che si tratti di una norma di assoluto equilibrio. Cassa forense continuerà a battersi con il Cnf perché l’obiettivo sia raggiunto. Il presidente Mascherin e il sottoscritto sono ancora più motivati di prima. Dico anche a qualche collega contrariato perché le misure sull’equo compenso non gli sono sembrate corrispondere alla perfezione agognata, che se intanto non ci impegniamo per ottenere le norme in discussione ora, come possiamo mai pensare di portare a casa in seguito una versione ancora più rafforzata?

Cosa si aspetta dal prossimo Parlamento?

Che vi siedano persone in grado di comprendere le esigenze delle libere professioni. E che possa realizzarsi il mio sogno: fare della Cassa una ‘ casa forense’, la casa di tutti gli avvocati che è anche a fianco del sistema Paese. Non resterà un sogno se solo ce lo lasciano fare.