«Dai suddetti atti investigativi appare evidente che la direzione degli atti di indagine fosse volta in concreto ad accedere anche nella sfera delle comunicazioni del parlamentare Ferri». Il passaggio chiave della relazione con la quale il deputato forzista Pietro Pittalis ha chiesto e ottenuto di negare al Csm la possibilità di utilizzare le intercettazioni a carico di Cosimo Maria Ferri nel procedimento disciplinare a suo carico è esattamente questo. Un passaggio con il quale viene rispedita a Palazzo dei Marescialli l’ipotesi che le intercettazioni che hanno coinvolto il deputato di Italia Viva e magistrato in aspettativa - tra i partecipanti alla cena all’Hotel Champagne con Luca Palamara durante la quale si discusse del futuro della procura di Roma - fossero casuali. Si sarebbe trattato, invece, di intercettazioni indirette, finalizzate - sostiene oggi la Camera - ad ascoltare anche quel parlamentare, nel quale gli inquirenti potevano prevedere di imbattersi, con l’obbligo, dunque, di spegnere il trojan. Un obbligo che pure era stato ricordato dal pm titolare dell’indagine a carico di Palamara, con una nota del 10 maggio 2019, ovvero il giorno successivo alla famosa cena, ma che non è stato rispettato, tanto che il nome di Ferri compare 341 volte nelle varie richieste di proroga delle intercettazioni telefoniche, delle quali 107 in una sola richiesta antecedente il 9 maggio 2019. LEGGI ANCHE: Processo Palamara, nella lista testi anche Davigo e Pignatone La decisione della Camera, di cui il Dubbio ha dato ampio resoconto sull’edizione di ieri, avvalora dunque la denuncia presentata alla procura di Roma dal deputato renziano a novembre del 2019, con la quale lamentava la violazione dell’articolo 4 della legge 140 del 2003, legge che rappresenta l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione da parte del legislatore ordinario. «A nostro giudizio e a giudizio della Cassazione (49538/2016, richiamata dalla Corte costituzionale 38/2019) - spiega al Dubbio Luigi Antonio Paolo Panella, legale di Ferri - , la violazione dell’articolo 4 della legge 140/2003 costituisce elemento oggettivo dell’abuso di ufficio, come a suo tempo denunciato dall’onorevole Ferri». Sull’esposto presentato dal parlamentare si è ancora in attesa della decisione del gip: il pm, infatti, aveva chiesto l’archiviazione, sostenendo - così come il Csm - che si trattasse di intercettazioni casuali, per le quali dunque era solo necessario chiedere l’autorizzazione successiva alla Camera di appartenenza, sulla base dell’articolo 6 della stessa legge. A maggio la difesa si è opposta alla richiesta di archiviazione, evidenziando tra le altre cose come tra le conversazioni preparatorie alla riunione all’Hotel Champagne ce ne fosse certamente almeno una - quella del 7 maggio - che era stata ascoltata l’8 maggio alle 18.42, rendendo dunque prevedibile la partecipazione di Ferri alla cena alla quale presero parte Palamara, l’ex ministro Luca Lotti e altri cinque consiglieri del Csm. Ora si attende la decisione del giudice, che però non potrà tenere conto della decisione della Camera, all’epoca ancora non coinvolta nel procedimento. Ciò che è evidente, però, è che Montecitorio ha evidenziato la non casualità di quelle captazioni, sostenendo la natura indiretta delle stesse. La vicenda Ferri riporta alla mente quella che ha coinvolto l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intercettato nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa Stato-mafia: la Consulta stabilì allora che la procura, ​​una volta avute le intercettazioni che coinvolgevano fortuitamente il Capo dello Stato, registrato al telefono con l'ex ministro Mancino, avrebbe dovuto chiederne al giudice la distruzione, a prescindere dal contenuto di quei colloqui, in quanto il codice di procedura penale non può condizionare la tutela delle prerogative costituzionali. Nel caso in cui le conversazioni che riguardano Ferri fossero dunque considerate illecite, le intercettazioni non potrebbero essere utilizzate in nessun caso. Il Csm o la procura generale della Cassazione, ora, potrebbe sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, assumendo una menomazione delle proprie prerogative di organo titolare dell’azione disciplinare. Una decisione che garantirebbe una valutazione in diritto e che però potrebbe rappresentare la pietra tombale sul procedimento disciplinare, portato avanti da un Consiglio ormai in scadenza. La prossima udienza è fissata il 27 gennaio, giorno in cui si discuterà della richiesta di ricusazione avanzata da Ferri nei confronti di Giuseppe Cascini, esponente di punta della sinistra giudiziaria da sempre contrapposta alla corrente di Magistratura indipendente, della quale Ferri ha fatto parte. La decisione della Camera, inoltre, potrebbe rappresentare un assist in chiave disciplinare anche per gli ex consiglieri del Csm presenti alla cena all’Hotel Champagne sospesi dalla magistratura proprio sulla base di quella registrazione, il cui ricorso è pendente in Cassazione. Palamara, invece, potrebbe presentare richiesta di revisione della sentenza, con la speranza, dunque, di poter ribaltare la propria radiazione dall’ordine giudiziario, già passata in giudicato. «Per la prima volta, seppur non a livello giurisdizionale, questa decisione rappresenta il riconoscimento di una tesi che la difesa del dottor Palamara ha sempre sostenuto, soprattutto in sede disciplinare», ha sottolineato il consigliere della Cassazione Stefano Guizzi, difensore di Palamara nel solo procedimento disciplinare davanti al Csm. L’ex capo dell’Anm, inoltre, potrebbe utilizzare la decisione della Camera anche a Perugia, dove a marzo inizierà il processo che lo vede imputato per corruzione, per riproporre tutte le eccezioni già discusse in udienza preliminare sull’utilizzo del trojan e sul suo funzionamento «ad intermittenza».