La strage di migranti avvenuta al largo delle coste della Calabria, in particolare a Cutro, ha sconvolto l’opinione pubblica. Ma è quella che vediamo. In realtà è la punta di un iceberg visto che avvengono i cosiddetti “naufragi fantasma”, dimenticati e ignorati dalla comunicazione mediatica. Basti pensare al memorandum tra Italia e Algeria dove grazie ai nostri finanziamenti, le imbarcazioni militari tunisine intercettano e bloccano i migranti nel tentativo di partire verso l’Italia. Tale muro sempre più invalicabile, però, non fermano i migranti. Il risultato? Ormai da due anni, al largo delle coste tunisine, si moltiplicano i naufragi e le sparizioni di imbarcazioni di persone in fuga che cercano di raggiungere l’Italia. Secondo i dati del FTDES ( Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali) solo tra gennaio e novembre 2022, oltre 575 persone sono morte durante la traversata. Morti fantasma, lontano dai nostri occhi.

Questi dati li troviamo nel rapporto 2022/ 2023 di Mem. Med Memoria Mediterranea – Mémoire Méditerranée che sintetizza non solo il lavoro annuale ma decennale nell’ambito della ricerca e identificazione delle vittime delle frontiere del Mediterraneo e nelle azioni di memoria e richiesta di giustizia, ad opera delle realtà costituita da Borderline Sicilia, Cledu, Carovane Migranti, Lasciate-CIEntrare, Rete Antirazzista Catanese, Watch The Med AlarmPhone.

L’impegno di Mem. Med è quello di supportare le famiglie e le comunità di origine nella ricerca di verità e giustizia per le vittime della frontiera, anche attraverso la costruzione di una contro narrazione di quello che i dispositivi europei di frontiera rappresentano e delle ricadute violente che la priorità della “sorveglianza e protezione dei confini” comporta. Tanti morti fantasma, senza identità, senza una degna sepoltura. Il tutto, senza alcuna copertura mediatica.

Il caso in esame è la rotta dalla Tunisia: dal rapporto di Mem. Med emerge che tra gennaio e ottobre 2022, 30.604 persone ( ovvero il 38% in più rispetto all’anno precedente, nonché un numero sei volte superiore rispetto al 2018) di varia origine sono state intercettate e bloccate lungo la costa tunisina dalle imbarcazioni militari nazionali nel tentativo di partire verso l’Italia. Una militarizzazione della frontiera che è supportata a livello logistico ed economico dall’Europa. Infatti, tra il 2011 e il 2022, lo Stato italiano ha destinato alla Tunisia 47 milioni di euro per il controllo delle frontiere e dei movimenti migratori. Inoltre, tra il 2018 e il 2023, 30 milioni di euro del Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa sono stati donati alla Tunisia per sviluppare un sistema di “sorveglianza integrata” delle frontiere marittime. La Guardia Nazionale Marittima tunisina è stata a questo scopo addestrata, equipaggiata e finanziata dall’Ue.

La maggior parte di questi fondi è stata dedicata alla fornitura e manutenzione di motovedette e pattugliatori destinati alla Guardia costiera tunisina per bloccare le partenze. Questi dispositivi si aggiungono ad un accordo di riammissione tra i due Paesi che consente all’Italia di espellere i cittadini e cittadine tunisine al ritmo di due – fino a quattro - voli charter a settimana. Con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione si è dunque instaurata una cooperazione con il ministero dell’Interno tunisino allo scopo di ridurre gli arrivi e creare in mare un muro sempre più invalicabile. Il rapporto di Mem. Med, rivela che, ormai, da due anni, al largo delle coste tunisine si moltiplicano i naufragi e le sparizioni di imbarcazioni di persone in fuga che cercano di raggiungere l’Italia. Secondo i dati del FTDES (Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali) solo tra gennaio e novembre 2022, oltre 575 persone sono morte durante la traversata.

Le ricercatrici di Mem. Med hanno raccolto insieme al gruppo di lavoro internazionale sulle politiche frontaliere tra Tunisia e Italia e sul ruolo assunto dalle autorità marittime - diverse testimonianze relative alle gravi pratiche condotte dalla Guardia Costiera tunisina contro le persone migranti, da considerarsi estremamente pericolose, se non letali, per l’incolumità delle persone a bordo delle imbarcazioni.

Per questo, Mem. Med, denuncia che rinnovare gli accordi con la Libia – internazionalmente condannati per le violenze gravissime sulla pelle delle persone migranti – e continuare a riconoscere la Tunisia un Paese terzo “sicuro” – in un contesto dove il governo autoritario dell’attuale presidente erode e criminalizza la libertà di espressione e di protesta e dove imperversa la violenza xenofoba e razzista contro le persone migranti tanto a livello istituzionale che sociale – «sono prassi che dimostrano come i governi europei siano disposti a pagare un prezzo altissimo pur di fermare le persone migranti, che vanno bloccate a qualunque costo umano ed economico». Il principale snodo geopolitico di queste politiche resta il Mar Mediterraneo e il sud Italia, in particolare la Sicilia e la Sardegna, terre di mezzo, che continuano ad essere punto di non arrivo per le persone in mare.

Questa militarizzazione del controllo delle frontiere, com’è detto, crea tante morti. Tanti sono i desaparecidos, e tante le richieste dei famigliari rimaste inevase. Come si legge nel rapporto, davanti a questa guerra in mare, “Où sont nos enfants? Où sont nos frères?” è la principale richiesta che anima le iniziative dei familiari delle persone migranti scomparse nel Mediterraneo, che siano partite da Biserta, da Sfax o da Zarzis. Proprio quest’ultima città tunisina è stata il principale centro di rivendicazione delle famiglie di chi è scomparso nel corso dell’estate e dell’autunno 2022 a seguito della sparizione di 18 persone che erano partite il 21 settembre 2022 verso Lampedusa e che non sono mai arrivate a destinazione. Non solo. La negligenza che ha causato la mancanza di operazioni di ricerca e soccorso adeguate e tempestive si è unita all’inadempienza nell’applicazione di procedure relative alle morti sospette, cioè autorizzando la sepoltura immediata dei corpi ritrovati in mare, senza prelievo del DNA e senza la raccolta di altri dati utili all’identificazione.

Da decenni ormai il grido “Dove sono i nostri figli? Dove sono i nostri fratelli?” lanciato dalle madri e sorelle tunisine, algerine, marocchine, senegalesi e provenienti da altri paesi subsahariani, resta inascoltato: all’interno di una gestione emergenziale delle migrazioni, la normalizzazione della morte in frontiera e la riduzione dei e delle missing migrants a dati quantitativi dimostrano inoltre un’indifferenza rispetto al significato di queste morti e alla necessità di denunciarle e di raccontarle. A supportare queste famiglie è Mem. Med, anche dalle accuse di colpevolezza da parte delle istituzioni. Un po’ evocano le parole del ministro Piantedosi quando, all’indomani della strage di Curto dove sono morti moltissimi bambini, ha affermato che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli».