Sei anni di carcere, uno in più rispetto alla richiesta del pm, e interdizione perpetua dai pubblici uffici: è la condanna inflitta in primo grado all’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, accusato di corruzione e finanziamento illecito nel processo stralcio di Mafia Capitale. Per la procura il politico era il punto di riferimento dell’ex ras delle cooperative Salvatore Buzzi e dell’ex nar Massimo Carminati, principali imputati dell’inchiesta. Secondo l’accusa, tra il 2012 e il 2014, Alemanno avrebbe ricevuto 223.500 euro da Buzzi, d’accordo con Carminati, sui conti della fondazione “Nuova Italia”, da lui presieduta, in parte tramite erogazioni indirette alla fondazione e in parte in contanti in varie tranche.

«Sono innocente - ha commentato dopo la sentenza l’ex sindaco - Non c'è una vera prova certa contro di me. Mafia capitale ha creato dei danni anche a me. Leggeremo le motivazioni per capire come si è arrivati a questa condanna. C'era un clima negativo. Ho avuto l'impressione che ci fosse la volontà di andare oltre anche a quanto chiesto dal pm. Non sono l'uomo di riferimento di mafia capitale, visto che sono stato prosciolto dall'accusa di associazione mafiosa». I giudici hanno disposto anche la confisca di 298.500 euro, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione per due anni. È stata fissata, inoltre, una provvisionale di 50mila euro sia per Ama sia per il Comune di Roma, in attesa di stabilire la somma definitiva in sede civile, nonché il risarcimento dei danni per 10mila euro nei confronti delle parti civili CittadinanzAttiva, Assoconsum e Confconsumatori federazione regionale Lazio. «Giudico questa sentenza ingiusta e assurda - ha aggiunto - Dobbiamo leggere le motivazioni e sicuramente ricorreremo in appello, dove speriamo di avere la giustizia che qui è mancata».

I guai per Alemanno sono iniziati il 2 dicembre del 2014, quando nel corso di una perquisizione domiciliare gli era stato notificato un avviso di garanzia nell’inchiesta “Mondo di Mezzo”. Il rinvio a giudizio arrivò un anno dopo, il 18 dicembre 2015, quando gup Nicola Di Grazia dispose il processo per corruzione e finanziamento illecito, rimanendo indagato a piede libero per associazione di stampo mafioso. Un’accusa per la quale il 16 settembre 2016 è stata la stessa procura a chiedere l’archiviazione, disposta, poi, per Alemanno e un altro centinaio di indagati il 7 febbraio successivo dal gip Flavia Costantini. «Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini - scriveva il giudice - non risultano idonei a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti di Alemanno, con particolare riguardo all’elemento soggettivo del reato ( l’articolo 416 bis cp) in merito al ruolo di partecipe nel reato associativo».

Nel corso della requisitoria, durata sei ore, lo scorso 8 febbraio il pm Luca Tescaroli ha chiesto la condanna a 4 anni e mezzo per corruzione, più altri 6 mesi per finanziamento illecito. Alemanno, ha affermato il pm, era «l’uomo politico di riferimento dell’organizzazione Mafia Capitale all'interno dell'amministrazione comunale, in ragione del suo ruolo apicale di sindaco, nel periodo 29 aprile 2008 - 12 giugno 2013. Inserito al vertice del meccanismo corruttivo - ha sottolineato - ha esercitato i propri poteri e funzioni illecitamente e curato la raccolta delle correlate indebite utilità, prevalentemente tramite terzi propri fiduciari per schermare la propria persona». E anche successivamente, una volta diventato consigliere comunale di minoranza in seno al Pdl, sarebbe rimasto «il punto di riferimento» di Buzzi. Alemanno avrebbe dunque «venduto» la sua funzione anche con l'ausilio «del fidato Franco Panzironi, parimenti corrotto», al «sodalizio criminale Mafia Capitale» che «è riuscito a ottenere il controllo del territorio istituzionale di Ama spa, società presieduta dal Comune di Roma, incaricata di pubblico servizio, ente aggiudicatore di appalti, target privilegiato dell'organizzazione».

Lo scorso 11 febbraio i difensori di Alemanno, gli avvocati Pietro Pomanti e Franco Coppi, avevano replicato chiedendo l’assoluzione, in quanto «non c’è una sola carta, una sola intercettazione di “Mafia Capitale” da cui emerge che lui sia un corrotto o abbia preso soldi - hanno sottolineato - Non è credibile che il sindaco di una delle più grandi città europee si sia reso responsabile di una corruzione di 40mila euro. Quanto ai finanziamenti, nessuna irregolarità c’è stata né tanto meno dolo». Ma dopo oltre due ore di camera di consiglio, ieri, i giudici della seconda sezione penale hanno deciso di punire l’ex sindaco, optando per una pena più alta di quella chiesta dall’accusa.