Ingoiano lamette, si infliggono ferite alla gamba e commettono altri gesti autolesionistici. Sono i migranti trattenuti nel centro per il rimpatrio, affetti da tossicodipendenza e compiono questi atroci gesti per attirare l’attenzione sul loro stato di crisi di astinenza. Non vengono seguiti, non gli somministrano nemmeno il metadone – oppure arriva in ritardo - come accade invece nei penitenziari. Il Cpr, di fatto, è peggio del carcere. Ci sono casi emblematici ben descritti dal Rapporto stilato dopo l’ispezione effettuata dal senatore Gregorio De Falco e dalla senatrice Simona Nocerino all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano. Parliamo di diversi migranti che, entrati nel Centro dichiarando la propria tossicodipendenza pluriennale, non sono stati formalmente riconosciuti come tali e non hanno quindi ricevuto neppure le somministrazioni di metadone previsti. Partiamo dal caso di K.M. Dal rapporto emerge che lui, pur dichiaratosi alla visita d'ingresso eroinomane da ben dieci anni con assunzione quotidiana, e pur asserendo di essere in cura presso il Servizio per le Dipendenze patologiche (Serd) di altra città, non è stato riconosciuto come avente diritto al metadone. La soluzione trovata da K.M. per assumere le sostanze di cui necessita è stata quindi quella di autoinfliggersi ferite che necessitassero di cure al pronto soccorso, dove poteva ricevere quanto richiesto e che nel Centro non gli veniva somministrato. A mero titolo esemplificativo delle sue condizioni, i senatori De Falco e Nocerino riportano che l'11 maggio 2021, in crisi di astinenza, ha ingerito la lametta con la quale si è inferto una ferita alla gamba, e al pronto soccorso sono stati adoperati mezzi di contenzione e somministrati pesanti sedativi; il 20 maggio si è inferto tagli tre o quattro volte; il 21 maggio ha subito una overdose di benzodiazepina, e il 25 maggio altra ferita da lametta al braccio. L’altro è il caso di G.M. che sotto trattamento di metadone lamentava i gravissimi ritardi nella somministrazione della sostanza e atroci sofferenze per le crisi di astinenza che per tale motivo aveva dovuto sopportare. Tale soggetto, qualche settimana prima dell’accesso dei due senatori al Cpr di Milano, era stato trasferito in carcere in ragione di una pregressa condanna diventata esecutiva nelle more. Da quanto appreso, in carcere ha potuto godere di una misura alternativa ed essere assegnato ad una comunità. «Questa – si legge nel rapporto dei senatori - è una delle tante conferme dell'affermazione che sempre ricorre tra chi è passato attraverso entrambe le esperienze: "è peggio del carcere". Costretto a crisi di astinenza forzate, abbandonato a sé stesso, è dovuto finire in carcere per poter ricevere adeguate cure e vedersi riconosciuta l'opportunità di una vita più dignitosa».