Al regista Richard Attemborough, autore nel 1982 di un meritatamente celebre film su Gandhi interpretato in modo superbo da Ben Kingsley, chiedono di “descrivere” il Mahatma con una sua frase. «Ne scelgo tre», risponde Attemborough. «Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere». Poi: «Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto a uccidere». Infine: «La paura può servire, ma mai la codardia».

Giusta “selezione” tra le innumerevoli frasi e aforismi di Gandhi che ci sono rimaste. Nella prima è condensata la teoria e la prassi gandhiana: partire da se stessi per compiere la “rivoluzione” che si auspica e per la quale si lotta. Nella seconda il metodo: la nonviolenza, spinta fino all’estremo: essere disposti a essere uccisi piuttosto che farlo. La terza frase è la quadratura delle altre due: è sciocco non aver paura, è anzi umano averla; ma si ha il dovere di superarla e di vincerla, quando si è profondamente convinti della giustezza di una causa.

Le persone diventano simboli quando i loro nomi possono essere usati come aggettivi. Che so: pirandelliano, michelangiolesco, balzacchiano... Ecco Gandhi è diventato aggettivo. Dici gandhiano, e chi ascolta non ha bisogno di altra spiegazione comprende al volo che cosa gli si dice; di più: in questo caso, vuoi per la potenza e la suggestione del film, vuoi perché un po’ tutti sanno della sua lotta in favore dell’indipendenza dell’India a forza di marce, digiuni e disobbedienze civili di massa, al nome si associa automaticamente il concetto di nonviolento. E dietro le parole una precisa filosofia: nonviolento tutto attaccato, non staccato: per Gandhi la nonviolenza non è negazione; è piuttosto affermazione, in positivo, “proposta” non “protesta”, come spesso amava sottolineare Marco Pannella, che pure era animato da una nonviolenza di matrice più anglosassone, un filone che si snoda da Henry David Thoureau ( autore del celebre Disobbedienza civile), a Martin Luther King, fino a Bertrand Russell.

Per tornare a Gandhi, per poter comprendere l’essenza della sua teoria e della sua prassi, l’evoluzione del suo pensiero, oltre ai libri che ci ha lasciato, importante è scandagliare i profondi rapporti che ebbe con lo scrittore russo Leone Tolstoi; e qui ci soccorrono Piero Cesare Bori e Gianni Sofri, autori di numerosi studi e curatori dei carteggi tra i due. Ma fondamentali anche gli studi del filosofo Giuliano Pontara e di un grande teorico della nonviolenza che pure a volte è scivolato su posizioni discutibili: Aldo Capitini, personaggio che andrebbe studiato e conosciuto assai più di quanto non sia ( e fondamentale, a questo proposito, l’azione svolta dal Centro Studi a lui intitolato).

È importante - e significativo - che una persona discreta e aliena da gesti enfatici e retorici come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella abbia ritenuto di dover ricordare Gandhi, «il Mahatma, la Grande Anima, interprete dello spirito migliore della fraternità tra i popoli e la cui straordinaria forza delle sue battaglie ne hanno fatto un simbolo di integrità morale e di tenacia. Il suo grande esempio ha ispirato cause di liberazione dell’umanità nel mondo intero, con la pratica della disobbedienza civile e della nonviolenza. Il suo messaggio di incredibile forza risuona ancora oggi nei movimenti che si battono per gli stessi ideali».

Giusto richiamo alla disobbedienza civile e alla nonviolenza. Peccato che il messaggio sia raccolto solo in parte: sarebbe stato opportuno dedicare all figura e alle opere, al “messaggio” e al valore del pensiero e dell’azione di Gandhi, trasmissioni, approfondimenti; inviti alle scuole a dibattere ( e far conoscere) il personaggio; proiettare il film di Attemborough... Chiedersi, perché no?, anni fa Pannella decise di adottare come simbolo del Partito Radicale proprio l’effigie di Gandhi, e con questo che cosa intendeva trasmettere: diritto umano e civile alla conoscenza, presupposto fondamentale per essere cittadini e non sudditi; diritto al diritto e a una giustizia certa, presupposto fondamentale per non essere servi, ma parte consapevole di una collettività. Sarà per il prossimo anniversario.

Il 30 gennaio di 70 anni fa ( 1948), appena un anno dopo la proclamazione dell’indipendenza dell’India, il padre dell’indipendenza, l’avvocato Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, 78 anni, viene ucciso con tre colpi di pistola da un giovane fanatico nazionalista indiano, un certo Nathuram Godse. Sono le 5 del pomeriggio e Gandhi sta pregando. L’assassino viene catturato e l’anno dopo condannato a morte e ucciso, con una decisone che suonò come il massimo disprezzo per il gandhismo, cioè per la dottrina della nonviolenza.