Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha parlato di «segnale di serietà per il Paese». Non tutti, però, sono del suo avviso. Per quanto attiene le professioni forensi, dove si prevede l’ingresso di soci di capitale negli studi legali, il rischio da più parti paventato è che non venga gestito da professionisti del ramo, con implicazioni che rischiano seriamente di essere negative per il cliente e la società civile nel suo complesso.

Abbiamo chiesto un commento al professor Massimo Luciani, ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università La Sapienza di Roma e presidente dell’Associazione italiana costituzionalisti.

Professore, il primo appunto che viene mosso a questo provvedimento è di essere stato approvato con il voto di fiducia, eliminando il dibattito parlamentare. Era necessario?

Una discussione comunque c’è stata nelle Commissioni. Il ricorso al voto di fiducia da parte del governo è ormai sempre più frequente. La frammentazione parlamentare e la conseguente assenza di una maggioranza stabile inducono il governo a evitare il dibattito parlamentare. E’ necessario un cambio a livello di cultura politica del Paese. Non basta prevedere, infatti, solo una diversa legge elettorale.

Veniamo al punto. Un provvedimento che vuole incentivare la concorrenza ed il mercato dovrebbe essere ben visto da tutti. In questo caso non sembra così. Perché?

Io inizierei con una riflessione di massima. Il principio della libera concorrenza va bene per i grandi gruppi industriali. Non si attaglia, senza aggiustamenti, al mondo delle professioni che hanno una funzione anche di carattere sociale. Pensiamo agli avvocati: il diritto di difesa ch’essi curano va tutelato quale diritto fondamentale della persona e in questi termini si è espressa la giurisprudenza. Analogamente avviene per i farmacisti, altra categoria coinvolta da questa legge, che assicurano il diritto della salute, esso pure tutelato in Costituzione.

Secondo lei, allora, qual è il motivo per cui il governo ha insistito su questo provvedimento?

È molto sentita, nel dibattito dell’Unione europea, la necessità di incentivare la concorrenza delle imprese. Ma nel caso di specie stiamo parlando di “imprese” molto particolari. In particolare: cosa c’entra una società di capitali con uno studio legale?

Le potrebbero rispondere che si facilita la competizione a livello internazionale.

Ma questo può andare bene per i grandi studi legali. Il contesto italiano, però, si caratterizza per studi piccoli e medi. E non credo che l’obiettivo di crearne di grandi sia costituzionalmente apprezzabile.

Il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha evidenziato ben 11 punti di criticità in questo ddl. Condivide?

Certo. E ho l’impressione che il legislatore non abbia ben chiara la conformazione della realtà italiana. Quando si parla di professioni bisogna fare interventi con il bisturi e qui, invece, in alcuni punti si è usata la sciabola.

Molti pensano che così facendo non si sarebbe mai giunti a nulla perché le categorie professionali si trincerano dietro una difesa corporativa.

Qui il problema è in radice. Le professioni svolgono una ruolo sociale. L’avvocato si immedesima nel suo cliente, cerca di assisterlo al meglio. Con l’entrata di soci di capitale c’è il serio rischio di comprometterne l’indipendenza. Ma, confido, la cultura plurisecolare dell’avvocatura italiana permetterà di reagire in modo appropriato. Gli avvocati si renderanno di fatto indisponibili a queste logiche di tipo mercantile.

Si può modificare il provvedimento?

Premesso che la legge non è ancora stata promulgata dal Capo dello Stato, il legislatore può tranquillamente tornare sui propri passi. Anche perché, ad esempio, allo stato non si sa nulla del trattamento fiscale o previdenziale cui assoggettare queste nuove realtà. Tutto è demandando a successivi interventi attuativi.

Ultima domanda. Questo testo, ad un primo esame, sembra anche di difficile lettura. Concorda?

Rispondo con una battuta, almeno per la parte di cui abbiamo parlato. I testi non sono chiari quando non sono chiare le idee.