Manette facili addio. Così sentenzia la Cassazione. E così dovrebbe essere d’ora in poi. In realtà la svolta sarebbe già stata dettata dalla legge. Precisamente, dalla riforma della custodia cautelare approvata in Parlamento più di un anno fa: si tratta della legge 47 del 16 aprile 2015. Quel provvedimento ha rafforzato un principio già sancito dal codice ma mai esplicitato in termini così netti: ovvero che il pericolo di reiterazione del reato deve essere «concreto» e «attuale». In assenza di tali requisiti non può essere più consentito a un giudice di infliggere all’indagato la carcerazione preventiva. Solo che i magistrati hanno continuato a seguire la vecchia logica: quella secondo cui se dalle indagini emerge un profilo potenzialmente incline al delitto, si deve dare per scontato che la persona in questione tornerà a delinquere, senza per questo preoccuparsi di verificare se davvero quella persona potrà avere nuove ed effettive occasioni di compiere lo stesso reato.Rischio “attuale”Con una sentenza depositata due giorni fa, la 24476, presidente Ippolito, la sesta sezione della Suprema corte ha annullato un’ordinanza con cui il Riesame di Roma confermava la misura cautelare, nel caso ai domiciliari, di un imprenditore marchigiano. Il collegio ha ritenuto carente la motivazione del tribunale della libertà proprio riguardo all’attualità del pericolo che il reato venga di nuovo commesso. Di fatto la Cassazione ha censurato quella che si potrebbe definire “leggerezza delle manette”. Anche se gli arresti sono nella forma dei domiciliari, non se ne può più fare un uso disinvolto. Ci vuole un fondamento motivazionale solido e vicino nel tempo. Non si tratta della prima pronuncia di questo tipo: lai giudici della Sesta sezione infatti citano due analoghe sentenze emesse dalla Suprema corte nei mesi successivi alla riforma del 2015. Sembra però potersi trattare di una svolta proprio perché il collegio presieduto da Ippolito riassume i principi già fissati nelle due precedenti occasioni. E richiama così i gip e i collegi del Riesame di tutta Italia a rispettare la legge. Più precisamente una legge approvata in tempi recenti, appena quattordici mesi fa.Motivazioni carentiLa sentenza è incisiva anche perché riguarda una tipologia di reati, quelli legati alla pubblica amministrazione, in cui la reiterazione è ipotesi che si può avanzare in modo meno automatico. E anche perché si tratta proprio delle questioni che ruotano attorno alla corruzione - in questo caso a presunte collusioni tra imprese e amministrazioni locali - e che quindi sono al centro del dibattito sulla giustizia. Nella vicenda esaminata dalla sesta sezione, l’imprenditore Luca Tramannoni è accusato dalla Procura di Viterbo di turbativa d’appalti per due gare nel Viterbese, una nel 2014 per gli impianti di illuminazione di Civita Castellana e l’altra nel 2015 per gli impianti termici di Grotte di Castro. Secondo l’ipotesi degli inquirenti Tramannoni avrebbe manipolato i bandi, capitolati e disciplinari d’intesa con i funzionari dei due comuni, per fare in modo che gli incarichi finissero alla sua azienda, la marchigiana “Cpm gestioni termiche”. Interessante il fatto che nella prima parte della sentenza i giudici della Cassazione diano di fatto ragione al Riesame, e quindi indirettamente al gip e alla Procura di Viterbo: le ordinanze hanno ricostruito con «completezza» la «condotta del ricorrente». Eppure anche in presenza di «gravi indizi di colpevolezza», si può infliggere la custodia cautelare solo se il giudice fa «un maggiore e più compiuto sforzo motivazionale». Nel caso, è la bacchettata della Suprema corte, «il Tribunale del Riesame ha disatteso le doglianze difensive» (presentate nel ricorso dall’avvocato Alfredo Gaito), anche perché quello sforzo deve essere «ancora maggiore quanto più ampio sia lo spettro cronologico che divide i fatti contestati dal momento dell’adozione dell’ordinanza cautelare». Principi, sancisce la sentenza, di cui il Riesame «non ha fatto buon governo». Resta da vedere se la “lezione” varrà una volta e per sempre.