Mercoledì il ministro Orlando ha inviato un pro memoria al Csm: «Non nominare tempestivamente i presidenti di Tribunale compromette l’efficienza della giustizia». In assoluto all’organo di autogoverno dei magistrati non si può contestare scarsa sollecitudine: un paio di mesi fa il vicepresidente Legnini ha annunciato con soddisfazione un traguardo, «300 nomine in soli 18 mesi». Ma non sempre le circostanze aiutano.Un po’ perché, come detto l’altro ieri dal guardasigilli, a volte il Consiglio superiore «dà priorità alle sedi più grandi, dove si concentra il consenso che apre la strada a percorsi nell’Anm e nel Csm stesso». E poi anche il magistrato che concorre per la guida di un Tribunale può essere costretto a posticipare l’assunzione dell’incarico. È il caso di Rosanna Ianniello, presidente della X sezione del Tribunale di Roma davanti alla quale è in corso il processo di Mafia capitale.Ieri la giudice 61enne è stata indicata dalla quinta commissione del Csm, all’unanimità, nuovo presidente del Tribunale di Terni. Se il plenum ratificherà la nomina, potrebbe verificarsi in teoria una conseguenza paradossale: il più importante procedimento celebrato negli ultimi anni a Roma dovrebbe tornare alla casella di partenza, con escussione di testimoni da ripetersi davanti al nuovo presidente del collegio. Ma in un caso del genere l’importanza del processo in corso prevarrebbe sulla “promozione” di Ianniello: il Csm dovrebbe ordinare l’applicazione del magistrato al dibattimento che vede imputati Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Qualora non lo facesse Palazzo dei Marescialli, potrebbe intervenire lo stesso guardasigilli.IL TRIBUNALE “ABBANDONATO”Siamo però al punto di partenza: gli incarichi vacanti nelle sedi giudiziarie: quella di Terni resterebbe evidentemente sguarnita fino alla conclusione del processo sulla presunta cupola mafiosa di Roma. Nella città umbra l’ultimo presidente del Tribunale, Girolamo Lanzellotto, è andato in pensione lo scorso 31 dicembre. Nel frattempo la “reggenza” è stata affidata al presidente della sezione penale Massimo Zanetti. Non un magistrato qualsiasi: il giudice in questione faceva parte della Corte d’Appello che nell’ottobre del 2011 assolse Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di aver ucciso Meredith Kercher. Di recente è stato preso di mira da “Striscia la notizia”, che ad aprile è andata a prendersela proprio col suo Tribunale per dimostrare quanto sia facile trafugare fascicoli da un palazzo di giustizia.Sta di fatto che quella nomina era attesa, che la commissione Incarichi direttivi del Csm l’ha predisposta ieri con voto unanime ma che il magistrato in questione, Rosanna Ianniello, dovrebbe eventualmente posticipare di diversi mesi l’effettiva “presa di possesso” del nuovo incarico. Terni non compare tra quei dieci Tribunali «in grave difficoltà» di cui ha parlato Orlando per segnalare un paradosso: e cioè che alle performances peggiori spesso corrispondono dotazioni di personale in perfetta regola. Certo non si tratta neppure di una sede che rifulge per prestazioni da primato: ad aprile Via Arenula ha diffuso la classifica dei Tribunali in cui la durata media di un processo civile è inferiore a un anno e di Terni non c’era traccia.Mafia Capitale, epopea in declinoIn attesa di sapere con certezza se il dibattimento continuerà a svolgersi davanti allo stesso presidente di collegio, l’epopea di Mafia Capitale tende a offuscarsi. Innanzitutto perché la sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha escluso l’accusa di 416 bis per i presunti boss di Ostia irradia una luce non proporio rassicurante sul processo a Buzzi e Carminati. Dal giudizio di secondo grado sui Fasciani e i Triassi si ricava la difficoltà di riconoscere il metodo mafioso in contesti così estranei a quelli della mafia tradizionale. E poi la sequenza delle deposizioni sul “mondo di mezzo” spesso avvalora sì l’idea di una rete criminale dedita ad attività corruttive, ma fatica a far emergere la pratica dell’intimidazione che induce omertà. Il tutto nel pieno di una campagna per il nuovo sindaco di Roma che ha visto allontanarsi l’ombra della “cupola” man mano che si entrava nel vivo della sfida.Un passaggio importante dovrebbe verificarsi con la prossima deposizione, nell’aula bunker di Rebibbia, di uno degli uomini chiave delle indagini: il maggiore dei Ros Francesco De Lellis. Alla base del gigantesco impianto accusatorio dei pm di Roma c’è la sua informativa. Ma curiosamente, l’ufficiale dell’Arma non è stato citato come teste dalla Procura. A farlo ha provveduto il difensore di Buzzi, Alessandro Diddi. Dall’escussione di De Lellis si potranno ricavare elementi decisivi. Anche di carattere statistico: i rapporti tra gli imputati e l’amministrazione capitolina si estendono in soli 3 dei 15 dipartimenti da cui è composta l’elefantiaca macchina comunale. Gli appalti di cui si parla nell’inchiesta sono una ventina, sui 10mila che ogni anno vengono gestiti dall’amministrazione. Sulla base di questi numeri è difficile sostenere che Buzzi e Carminati tenessero Roma in pugno. Il fenomeno sembra oggettivamente marginale, eppure è stato rappresentato come un’epopea del crimine. Gigantismo che ha lasciato segni anche dolorosi. Un caso? La cooperativa Edera: oltre 150 dipendenti fino all’autunno del 2014, titolare dell’appalto Ama per la raccolta del multimateriale. È bastato che un suo socio fondatore, Franco Cancelli, entrasse nell’inchiesta Mafia Capitale con un’accusa di turbativa d’asta perché alla coop Edera venisse imposta l’interdittiva antimafia. Appalti persi, dipendenti ridotti a una decina. E la beffa degli istituti di pena che continuano a contattare l’azienda per chiedere se può assumere detenuti da affidare ai servizi sociali. Una microstoria che dimostra come l’accusa di mafia sia una come micidiale radiazione, e se un giorno si scoprirà che la bomba neppure doveva esplodere sarà troppo tardi.