«In mafia appalti venne omesso il gruppo imprenditoriale Salamone, Vita e Miccichè». È Giovanni Brusca che parla del dossier mafia- appalti durante le cinque ore di esame al processo a carico dei poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei accusati di calunnia aggravata. Lo dice senza indugio e afferma che secondo lui c’era stata la volontà di salvare una parte politica e imprenditoriale ben precisa a discapito di altri, tra cui quella di Salvo Lima. Lo dice con sicurezza, dice di aver letto all’epoca il dossier e disse anche che gli appalti per lui non erano così importanti, al massimo servivano per agganciare i politici.

Peccato che però nel famoso dossier dei Ros, apprezzato e voluto da Giovanni Falcone, tali gruppi imprenditoriali vengono attenzionati eccome. Ma non solo. Lo stesso Brusca, in altri processi, invece, aveva affermato che la strage di Via D’Amelio era da collegarsi anche al tema degli appalti.

Ma andiamo con ordine. Al controesame è l’avvocato Seminara che ritorna alla questione, dopo che Brusca aveva riferito al Pm Luciani. «Ritornando alla questione dell’indagine mafia- appalti – chiede l’avvocato - lei ha detto che in quegli atti vi era un predominio di una parte rispetto ad un’altra?». Brusca: «Si intravedeva che certa parte politica e imprenditoriale veniva “omissata”. Si era fatta attenzione solo alla parte Lima, c’erano i lavori di Siino, in particolar modo c’era attenzione alla Sirap. Fu omesso però il gruppo Miccichè, Salamone e Vita». Sempre l’avvocato Seminara a quel punto gli chiede: «Lei ha detto che il gruppo Salamone in questa indagine non figurava, mentre veniva data considerazione e rilievo al gruppo imprenditoriale legato a Totò Riina e lei, è corretto?». Risponde Brusca: «Precisamente. Sì, è corretto, veniva colpito Buscemi, Pino Lipari, Angelo Siino, questa fascia». L’avvocato Seminara quindi chiude con la domanda: «Quindi c’era solo la parte riferibile a Riina e quindi a Lima, mentre la parte di Salamone riferibile all’Agrigentino non veniva colpita?» Brusca risponde: «Precisamente». Purtroppo Brusca evidentemente si ricorda male. Basta la sola lettura dell’informativa N. C/ 000001/ 2 ' P' Palermo che porta la data del 16 febbraio 1991, per smentire le dichiarazioni del pentito. Scrivono infatti i Ros che la Vita S. p. a. e la Salomone Filippo S. p. a., erano «due tra le società i cui titolari sono legati, in particolar modo, ad Angelo Siino».

Anzi, è nella loro informativa che i Ros indicavano anche le intercettazioni le quali dimostravano la partecipazione di Filippo Salamone all'attività illecita di controllo degli appalti pubblici. Ve ne è traccia in una telefonata del 3 aprile 1990, di cui è riportata la trascrizione, dove Farinella chiama Siino per invitarlo a pranzo e gli riferisce che si sta recando a una riunione con Salamone «… io sto in autostrada che sto venendo a Palermo siccome oggi abbiamo riunione con Filippo Salamone per problemi di lavori pubblici...». In realtà si fa cenno anche di Miccichè, in quanto viene fatto il suo nome nel corso di un’intercettazione: riconosciuto come amico di Siino, ma anche come il Presidente del Consorzio medio - alto Belice. È proprio su Miccichè che i Ros riferiscono che avevano in corso degli accertamenti. Come detto, nel corso della deposizione, Brusca ci ha tenuto a precisare che degli appalti non gli interessava più di tanto, al massimo come strumento per agganciare i politici. Eppure il dossier – avuto non si sa come – dice di averlo letto e quindi si deduce che qualche preoccupazione ce l’avesse. D’altronde lo stesso Siino ( considerato il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra), disse che le indagini promosse dal giudice Falcone nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un «crescendo di interessi», avevano portato alla sua eliminazione. Difatti, in Cosa nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: «Questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare». Ma anche lo stesso Brusca, in altre circostanze, disse che il tema degli appalti era importante. Durante il processo del Borsellino ter è proprio il magistrato Nino Di Matteo a chiedergli: «… siccome stavamo parlando della strage di via d'Amelio, che è oggetto di questo processo, lei ritiene che in qualche modo ci sia un collegamento con queste vicende legate agli appalti?». Brusca rispose: «Per me sì!».

Dalle risposte del teste Brusca alle domande dell’avvocato Seminara emerge anche un’allusione agli omissis dei nomi dei politici, che poi non sembra altro che un accenno a quella che fu chiamata la teoria della “doppia informativa”. A onor del vero, nel suo noto provvedimento di archiviazione, la Gip Loforti di Caltanissetta indica con precisione, una ad una, le informative ( prima di quella generale, ce ne furono altre precedenti che preparavano il terreno) dei Ros avevano inviato alla Procura di Palermo sulle intercettazioni che riguardavano parecchi esponenti politici di allora. La stampa contestò che erano stati fatti solo 5 arresti e che erano stati omessi i politici. Spuntò fuori la teoria dello sbianchettamento dei politici che ogni tanto viene riproposta ancora oggi. Ma è nel provvedimento del Gip Loforti che con riguardo agli esponenti politici, si legge: «sia pure a vario titolo, risultano tutti menzionati nella informativa del febbraio del 1991, come ad esempio l’on. le Coco, allora sottosegretario alla Giustizia e l’onorevole Fiorino, allora sottosegretario al Mezzogiorno, o l’onorevole Cicero, ma anche l’onorevole Bernardo Alaimo, all’epoca Assessore Regionale alla Sanità….. l’onorevole Motta, sindaco di San Cipirrello». Del resto basterebbe fare accenno al fatto che fu l’allora Ministro della Giustizia Martelli a definire quanto meno singolare ed inusuale l’invio al ministero dell’informativa da parte del Procuratore di Palermo Giammanco, in seguito alla campagna mediatica insorta nei confronti della Procura in relazione a questa attività investigativa. A questo proposito, anche Liliana Ferraro, legata dal rapporto di amicizia con Falcone, parlò e disse che Falcone le aveva chiesto di chiudere il plico, preparare una lettera e rispedirlo all’autorità giudiziaria che l’aveva inviato.