di DOMENICO TOMASSETTI

ˇCaro Direttore, Qualche tempo fa, appena tornato a studio dopo l’incidente, mi è venuta a trovare una dirigente del Comune di Roma, pardon di Roma Capitale, come si chiama oggi. È lo stesso Ente, che (mal)funziona come prima, ma ha cambiato nome nell’ambito dell’ennesima riforma istituzionale incompiuta di cui nessuno sentiva la necessità. Troppi anni di esperienza professionale (almeno quelli che mi ricordo) mi “hanno fatto persuaso” che i dirigenti degli enti locali italiani si dividono in due macrocategorie. Quelli che volutamente non toccano palla, per tenersi lontani da ogni problema, e quelli che cercano di risolverli i problemi perché la prossimità con i cittadini genera in loro un insopprimibile, masochistico bisogno “di fare qualcosa per questa città”, in risposta a un senso del dovere che inevitabilmente finisce per metterli nei guai. Infatti è solo questa seconda categoria che suscita l’attenzione delle Procure. I primi, quelli che alzano le mani, nemmeno fossero i concorrenti di Masterchef quando è finito il tempo della prova, passeggiano attraverso tutta la loro carriera senza problemi particolari, salvo lamentarsi del troppo lavoro che non assolvono mai in pieno. La dottoressa De Renzis, così si chiama la mia cliente, faceva parte della seconda categoria e, per questo motivo, era stata costretta a contattarmi dopo aver ricevuto un atto di citazione dalla Procura della Corte dei conti per danno erariale. Spiego per chi, fortuna sua, non è del mestiere: quando si sospetta che l’azione di un dipendente pubblico abbia causato un danno all’erario (una spesa ingiustificata), la procura della Corte dei conti cita il dipendente in giudizio (dinanzi alla Corte stessa) per vederlo condannare a risarcire di tasca sua i soldi che l’Amministrazione avrebbe perso. La De Renzis, che all’epoca dei fatti era la Direttrice del Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale, aveva liquidato, ratione officii, a vari enti di beneficenza (tipo Caritas, Comunità di Sant’Egidio, etc.) il contributo, dovuto ex lege, per i pasti che le mense sociali distribuivano quotidianamente ai poveri. Infatti, ai sensi di una legge regionale, il Comune pagava, per ogni pasto, un contributo di circa 4,5 euro. Secondo la Procura della Corte dei conti, Roma Capitale avrebbe dovuto indire una gara pubblica (un appalto) per gestire il servizio mense sociali in modo più economico ed efficiente. Se avesse fatto una gara, sempre nella tesi della Procura, il costo per ogni singolo pasto sarebbe certamente diminuito sulla base del generalissimo e indimostrato principio che la concorrenza abbatte i prezzi (sì, ma in un sistema concorrenziale aperto, obietterebbe uno studente di Economia del primo anno). Non avendo fatto la gara, il Comune avrebbe, invece, speso più del giusto e la colpevole di questo presunto danno era stata individuata nella De Renzis. “Ma io che dovevo fare? C’era una legge, l’ho applicata. E poi lei, avvocato, sa di quante cose si occupano la Caritas e Sant’Egidio? Danno i pasti, il cambio abiti, le docce, l’assistenza medica e psicologica…. 4,5 euro sono solo un contributo, pure misero: il resto ce lo mettono le Associazioni e i volontari”.Aveva ragione, ma la Procura non la pensava nello stesso modo e le aveva chiesto oltre 2 milioni di euro per non aver indetto una gara che nessuna legge imponeva e che era (ed è) del tutto fuori mercato: quale operatore economico può essere interessato alle mense dei poveri?.“Che poi chi ce l’ha due milioni di euro?Io ho solo una casa di proprietà, quella dove vivo” la De Renzis mi guardava sconsolata. “Beh, almeno questa è una buona notizia. Al massimo le pignorano casa, ma non la possono cacciare fino a quando ci abita” rispondevo con cinismo avvocatesco. Nelle settimane seguenti, insieme a un collega di studio, abbiamo studiato gli otto faldoni di documenti depositati dalla Procura e le tante altre carte che ci ha portato la De Renzis; poi siamo andati a parlare con i responsabili della Caritas e di Sant’Egidio, scoprendo l’incredibile lavoro che svolgono quotidianamente. Nelle mense sociali non vanno solamente i senza tetto. Ogni giorno c’è una fila infinita di insospettabili: genitori separati, lavoratori licenziati, pensionati che ricevono un assegno inferiore a mille euro al mese. Una folla di persone delle quali nessuno parla mai. Paradossalmente solo la Procura regionale della Corte dei conti si è (indirettamente) interessata a loro, ritenendo che il contributo di 4,5 euro a pasto, elargito dal Comune di Roma, fosse eccessivo. Dopo quasi due mesi di lavoro abbiamo depositato la memoria difensiva, chiedendo l’assoluzione della nostra cliente, e abbiamo atteso la celebrazione dell’udienza. L’attesa, però, non è stata vana. Preoccupata dall’azione della Procura, l’Amministrazione ha svolto la gara per l’assegnazione delle mense sociali. Vuole sapere l’esito, Direttore?L’appalto è stato vinto dalle medesime associazioni di beneficenza che già si occupavano della distribuzione dei pasti ai poveri. D’altronde chi altro poteva essere interessato a svolgere un servizio sociale in perdita come quello delle mense sociali? Ma su una cosa aveva ragione la Procura: il prezzo per ogni singolo pasto è cambiato. Roma Capitale erogava ora un contributo di 5,5 euro a pasto!! Miracoli della libera concorrenza!!!Convinti che a fronte di questa novità la Procura avrebbe rinunciato alla domanda risarcitoria (dove sta il danno se, a seguito della gara, il Comune pagava un euro più di prima ogni pasto), siamo andati in udienza. La Procura, invece, ha insistito per la condanna e ha… perso. Fortunatamente la Corte ha rigettato la richiesta di condanna per un danno erariale che non esiste e, nella sentenza che conservo a studio, ha anche sostenuto che la gara non fosse necessaria, vista la legge regionale di cui sopra. Roma Capitale è stata condannata a rifondere le spese legali alla De Renzis perché, si sa, la Procura agisce in surroga dell’Amministrazione. Conclusioni di questa mirabile azione giudiziaria: Roma Capitale ora paga un euro in più di prima per ogni pasto distribuito nelle mense sociali (ed è giusto), la De Renzis è stata assolta (ed è altrettanto giusto), e ogni Natale mi regala una cassetta di vino per ringraziarmi di “averle salvato la casa”.Insomma tutto è bene quel che finisce bene, ma rimangono delle domande.Perché è stata iniziata un’azione risarcitoria così “singolare” e, invece, non sono perseguiti altri casi, più eclatanti, di sperpero (vero) di denaro pubblico? L’assoluzione della dottoressa De Renzis è stata dovuta alla bravura degli avvocati, all’intelligenza della Corte o alla Fortuna? Avrei potuto raccontarLe, Direttore, (e forse in futuro lo farò) altri processi che non hanno portato allo stesso risultato felice per i miei assistiti. Quindi escluderei la bravura degli avvocati. Se non si fosse stata svolta, medio tempore, la gara, con gli esiti descritti, la dottoressa De Renzis sarebbe stata comunque assolta?Mi viene in mente Calamandrei: “non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c’è giustizia … essi sono convinti che è vero il contrario”. Io non so se al mondo ci sia Giustizia. So, però, che in Italia la giustizia è un incidente in cui si può incappare se si è fortunati e/o ostinati. Ma so, perché l’ho visto, che la Giustizia (rectius la reazione all’ingiustizia) è un bisogno insopprimibile. Allora, forse, non ha senso chiedersi se gli avvocati credono nella Giustizia. Se viene a studio una persona alla quale chiedono un risarcimento milionario perché, applicando una legge, ha dato un contributo per dare da mangiare a persone in stato di necessità, ti chiedi se credi nella Giustizia o semplicemente provi con le tue (magari scarse) capacità a difenderla? E non lo fai solo per la parcella, altrimenti lavoreresti male; neppure perché aspiri alla santità, i soldi contano: è solo quella incoercibile reazione all’ingiustizia che, a volte, riesce a dare un senso al caos nel quale viviamo. Ancora oggi, come quando avevo vent’anni. Con i più cordiali saluti, Andrea Armati