Una situazione «inedita», un passo indietro rispetto alle conquiste fatte fino ad ora. O meglio un “vulnus costituzionale”, denunciato da oltre 60 costituzionaliste italiane quelo relativo l’elezione dei consiglieri laici del Csm e dei Consigli di presidenza della Giustizia amministrativa, tributaria e della Corte dei Conti. Tutti i posti disponibili ventuno - sono stati infatti occupati da uomini, in barba a qualsiasi principio costituzionale. Una scelta che le professoresse ordinarie e associate di diritto costituzionale delle università italiane hanno stigmatizzato in una lettera aperta alla presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a quello del Senato Elisabetta Alberti Casellati e a quello della Camera Roberto Fico. Una lettera che, finora, spiega al Dubbio Luisa Azzena, docente dell’università di Pisa, «è rimasta senza risposta».

Come nasce questa protesta? Intanto vorrei chiarire che non si tratta di una protesta contro le persone che sono state nominate. Il problema è che fino alle scorse nomine si era sempre seguito un criterio, rispettando la regola del 50 per cento per ogni genere, che, pur non essendo imposta, è sempre stata applicata in maniera rigorosa. Ma questa volta è stato completa- mente stravolto. Non è solo un problema del Csm, dove tra i magistrati almeno le cose sono andate un po’ meglio, anche se non tantissimo. Il problema è che questa vicenda riguarda anche altri organi di garanzia. Sebbene siano meno conosciuti tra la gente comune, si tratta comunque di organismi molto importanti, perché sono organi di garanzia, che vigilano sulle carriere della magistratura. Questo l’aspetto preoccupante: negli organi di garanzia non si rispettano, appunto, le garanzie. E si tratta di apparati che si occupano delle carriere dei magistrati sotto ogni punto di vista. Mi sembra strano, se consideriamo che la magistratura italiana è composta soprattutto da donne, la cui carriera, dunque, sta completamente nelle mani degli uomini.

Si tratta di un caso? Sembra un po’ una scelta. Sulle elezioni dei membri del Csm c’è stata un po’ più di pubblicità, ma negli altri casi è stato più facile non farlo notare, perché sono organi meno noti e hanno suscitato meno sdegno. Ma sono importanti e svolgono un ruolo molto delicato. Oltre ad una prassi, è stato trascurato un principio costituzionale, non solo per quanto riguarda l’articolo 51, che assicura a uomini e donne il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza agli uffici pubblici, ma ancor prima per quanto scritto nell’articolo 3, che sancisce l’uguaglianza senza distinzione di sesso. Quindi siamo di fronte ad una discriminazione.

Non sarebbe forse il caso di introdurre una norma specifica? A questo punto sì. Le leggi elettorali, ad esempio, prevedono un equilibrio di genere e la percentuale di un genere rispetto all’altro, in un organo eletto tramite queste leggi, non può superare la quota del 60 per cento. In casi come quelli di cui stiamo parlando, invece, non c’è una norma specifica che imponga un equilibrio. Dovrebbe bastare la Costituzione, che ha valenza normativa. Ma a questo punto serve una legge.

Il concetto di “quota rosa” non rischia di essere un’arma a doppio taglio? Il discorso è un po’ più complicato: quello che è in discussione, da sempre, è se ad un genere, rispetto all’altro, debba essere riservato un numero di posti o se basti una garanzia di pari opportunità nelle possibilità di accesso a quei posti. Su questo possiamo discutere e più o meno anche assicurare uguaglianza nella posizione di partenza, e non nel risultato, può essere accettato e corretto. Ma qui è stato violato qualsiasi principio, sin dalle possibilità di partenza. In maniera brutale, non si è considerata l’efficacia normativa della Costituzione, che non si può violare in nessun caso. Nessuno può farlo.

Vuol dire che siamo ancora una società fortemente patriarcale? Sì, non abbiamo imparato nulla.

Il mondo politico ha reagito in qualche modo? No, al momento. Il primo a ricevere la lettera è stato il presidente Conte, che però non ha risposto. Ma le nostre parole, lunedì, sono state citate dal presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso ai magistrati in visita al Quirinale, un gesto estremamente importante. Non credo che le cose possano cambiare in merito alle nomine già fatte, lo spirito non è nemmeno fare ricorso per la violazione di qualche articolo. Però il nostro è uno strappo istituzionale piuttosto forte e può darsi che le parole di Mattarella facciano svegliare anche qualcun altro.

Vi fermerete qui o avete pensato di trasformare questa prima iniziativa in qualcosa di più strutturato? Sicuramente non ci fermeremo alla lettera. Questa iniziativa è nata da una chat, ma in futuro si costituirà un’associazione al femminile. Purtroppo è sempre un po’ triste quando ci si autoghettizza, ma se succedono queste cose bisogna sempre stare in prima linea e molto attente.

I colleghi di sesso maschile come hanno reagito alla vostra presa di posizione? L’appello è stato condiviso anche da alcuni colleghi uomini. Avremmo potuto coinvolgere anche altre persone, allargando la protesta ai docenti di altre materie giuridiche, ma nell’immediato era molto urgente spiegare la situazione e contestarla. Anche i colleghi uomini, dicevo, stanno manifestando la loro vicinanza, non tantissimi perché a mezzogiorno ( di ieri, ndr), su 300, soltanto in trenta avevano manifestato la loro adesione. Ma vorrei segnalare la lettera di sostegno di Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, secondo cui anche gli uomini dovrebbero esprimersi in questo dibattito. Non perché si tratti di una rivendicazione, ma come presa di posizione dei cultori del diritto costituzionale. Quanto accaduto è una cosa inedita per la nostra cultura di italiani degli anni 2000, per i diritti che eravamo riusciti a conquistare. C’era ancora da fare, ma di passi in avanti ne erano stati fatti tanti. Almeno fino a queste nomine.