Doveva essere il terreno di gioco prediletto della maggioranza. In realtà sulla giustizia si annuncia una stagione di interventi lunga ma non impetuosa. I motivi sono due: non sono moltissimi i provvedimenti sui quali c’è assoluta convergenza tra i due azionisti dell’esecutivo; in secondo luogo il guardasigilli Alfonso Bonafede non intende scatenare conflitti con avvocati e magistrati, ai quali ha anzi chiesto di collaborare nella revisione di alcune materie, come le intercettazioni, tantomeno medita di assecondare ogni sollecitazione rivoltagli dalle toghe. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un mito per il quale si deve verificare un’ulteriore smentita. Prima e dopo il risultato delle Politiche, si era data per inevitabile una sorta di tutoraggio che Piercamillo Davigo avrebbe esercitato su un ministro della Giustizia dei cinquestelle.

Teorema contraddetto dall’estrazione culturale dei magistrati chiamati a ricoprire i ruoli chiave del ministero, che non è affatto riconducibile alla corrente dell’ex pm del “Pool”.

Ma l’emancipazione del governo dal rapporto con i giudici, quanto a riforme sulla giustizia, è un dato più generale. Non ci sarà la raffica di provvedimenti in materia penale data a lungo per inevitabile. La scaletta prevede passi non traumatici. Ieri ne ha fatto cenno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella sua intervista al Corriere della Sera, in cui ha annunciato, per l’autunno, «decisioni» che riguarderanno anche «riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno», tra cui la «accelerazione dei processi» e un intervento anticorruzione, senza altri riferimenti alla giustizia. Il ddl sulla lotta al malaffare sarà la prima iniziativa di legge non emergenziale ( qual è stato il decreto su Bari) firmata da Bonafede. Più o meno in parallelo, dal ministro arriveranno indicazioni su un potenziamento delle misure alternative di soluzione delle controversie, in particolare della negoziazione assistita, che potrebbe essere la vera leva del governo per la accelerazione dei processi di cui parla il premier. Un risvolto di cui finora si è parlato poco, eppure centrale nel confronto avviato tra il guardasigilli e il Consiglio nazionale forense, che ha sottoposto al ministro un documento con obiettivi e visioni dell’avvocatura in cui si dà ampio spazio agli strumenti di mediazione.

Dietro i primi due tavoli, uno in campo penale e il secondo in materioa civile, c’è una seconda e affollata griglia di questioni, alcune date troppo precipitosamente in rampa di lancio: dalla legittima difesa alla prescrizione, dai ritocchi alla riforma del diritto fallimentare rimasta in sospeso alle intercettazioni, dalla cancellazione dell’atto di citazione come atto introduttivo nel rito civile fino all’impossibilità di reindossare la toga per i magistrati che assumono incarichi politici. Vanno classificate a parte altre due voci: un ripensamento sulle misure alternative al carcere, di cui Bonafede negli ultimi tempi ha riconosciuto l’utilità seppur a determinate condizioni, e un radicale intervento sul sistema per scegliere i togati del Csm, che rischia di aprire un confronto assai aspro con i magistrati. Proprio i dossier che intrecciano in modo più sensibile le aspettative dei giudici sono destinati a non avere vita facile: l’Anm ha alzato la guardia non appena Bonafede ha fatto un generico cenno a più approfondite verifiche, da parte del suo ispettorato, sulla produttività delle toghe. «Assoluta contrarietà a quest’ipotesi», ha dichiarato presidente dell’Associazione, Francesco Minisci, in un’intervista ad Avvenire domenica scorsa.

Di certo Bonafede non sarà un ministro “dogmatico”. Si prenda l’anticorruzione: nel contratto di governo l’“agente provocatore” c’era eccome, seppure “in presenza di elementi fondati”. Nello schema che dovrebbe uscire da via Arenula ci sarà invece solo l’estensione ai reati contro la pubblica amministrazione dell’agente sotto copertura. Spazio a una revisione del voto di scambio politico- mafioso e al controverso Daspo, ossia l’“interdizione dai pubblici uffici e la perpetua incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per chi è stato condannato definitivamente per un reato di tipo corruttivo”.

Sulle misure alternative al giudizio civile si dovrà aspettare la manovra, considerato che per potenziarle servono incentivi, dunque risorse. Certo non pare casuale il passaggio che il ministro ha inserito nel documento depositato l’ 11 luglio alle commissioni Giustizia di Camera e Senato: «Se ho un minor numero di contenziosi, non per questo devo pensare che la giustizia civile in Italia funziona meglio: potrebbe voler dire che i cittadini rinunciano a rivolgersi al tribunale», ed è per ridurre i costi, ha spiegato Bonafede, che «ho avviato uno studio analitico dell’impatto che hanno avuto i tentativi di mediazione obbligatori prima di andare in tribunale: lì si vede come dietro i numeri c’è una risposta, ci sono dei settori in cui questo strumento ha avuto un impatto importante in termini di deflazione del processo». Una strada appunto, che il guardasigilli spiega di preferire a una «produzione scomposta e spesso illogica di norme e di riti».

Sulla legittima difesa non è da escludere un ddl governativo, ipotesi avanzata per primo dallo stesso Bonafede, che punta a un testo «il più equilibrato possibile», senza automatismi sulla scriminante da riconoscere a chi reagisce nel proprio domicilio. Anche in questo caso l’Anm e la magistratura in generale chiedono di non toccare in alcun modo la legge del 2006. L’eventuale “riforma” della prescrizione ha bisogno a propria volta di un potenziamento degli organici ed è dunque sospesa alla manovra economica. Si tratta in ogni caso di un dossier sul quale il confronto con la Lega sarà impervio. Più semplice intervenire sulle intercettazioni, seppure le richieste di magistrati e avvocati non sempre convergano. Mentre un intervento su toghe e politica vedrebbe una netta sintonia nella maggioranza e potrebbe diventare l’ulteriore segno di un esecutivo libero dalla tutela dei magistrati.