PHOTO
CARCERE DI BOLLATE
Il modello repressivo, in Italia, non ha né fermato il consumo né ridotto l’offerta di sostanze. Al contrario, ha prodotto costi umani e sociali altissimi. Le carceri esplodono di detenuti arrestati per droga; le persone con dipendenze restano senza percorsi di cura; chi finisce nel circuito penale si porta addosso per tutta la vita il marchio di “spacciatore” o “tossicodipendente”; le grandi organizzazioni criminali continuano a prosperare su un mercato che la repressione non riesce a scalfire. E intanto lo Stato spende miliardi tra forze dell’ordine, magistratura e carceri, senza risultati concreti.
È un sistema che continua a divorare risorse pubbliche per mantenere in piedi il proprio stesso apparato, mentre investe poco o nulla in prevenzione e supporto a chi avrebbe bisogno di aiuto. Le carceri italiane sono ben oltre la soglia di sicurezza: il tasso di sovraffollamento è al 133,52%, secondo l’ultimo rapporto del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Più di un terzo dei detenuti è in carcere per reati legati alla droga. E l’Italia continua ad avere una delle legislazioni più severe d’Europa su detenzione e spaccio, al punto da aver mandato dietro le sbarre, per anni, anche chi veniva trovato con piccole quantità per uso personale.
Nel frattempo, i servizi sanitari per le dipendenze restano carenti. I SerD — i servizi pubblici per le dipendenze — operano sotto organico e con dotazioni insufficienti. Dal 2018 al 2023, il personale specializzato si è ridotto di 252 unità. Oggi, il rapporto tra operatori e utenti è di 4,7 ogni 100 persone, contro il 7,2 dei servizi dedicati all’alcologia. L’approccio della riduzione del danno, che prevede interventi come distribuzione di siringhe sterili, counselling a bassa soglia, informazione tra pari, è stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza, ma resta inapplicato in molte regioni. Mancano strutture per il consumo controllato, programmi di somministrazione del naloxone, centri per il trattamento delle patologie infettive legate all’iniezione.
Il peso dello stigma resta enorme. La parola “tossicodipendente” agisce come un timbro indelebile: si perdono lavoro, casa, reti di sostegno. E la paura di essere riconosciuti come consumatori allontana anche chi vorrebbe iniziare un percorso di cura. L’idea della riduzione del danno, nel suo senso più ampio, parte proprio da qui: accogliere senza giudicare. Ma nel contesto italiano manca ancora un’effettiva cultura della non discriminazione.
In carcere, intanto, finiscono quasi sempre i “pesci piccoli”: consumatori, microspacciatori. I grandi trafficanti, quelli con logistica, capitali e protezioni, restano fuori. E si arricchiscono. Nel 2023 — secondo i dati della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga — le forze dell’ordine hanno aumentato le operazioni (+ 6%) e sequestrato 89 tonnellate di stupefacenti (+ 17%). Ma il mercato non rallenta. Il narcotraffico, come sottolinea il Dipartimento Antidroga, è ormai una “multinazionale del crimine”, in grado di adattarsi a ogni crisi.
Intanto, ogni euro speso per alimentare il sistema penale sottrae risorse a prevenzione, trattamento, reinserimento. I fondi per programmi alternativi si sono ridotti negli ultimi anni, mentre il meccanismo repressivo continua a girare a vuoto, alimentando un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire.
NASCE LA CONTRO-CONFERENZA
In questo scenario, la società civile italiana prepara una risposta netta. Il 7 e 8 novembre 2025, negli stessi giorni in cui a Roma si terrà la Conferenza Nazionale sulle Droghe organizzata dal governo, andrà in scena una Contro- Conferenza nazionale autoconvocata. L’obiettivo: smontare la retorica securitaria, rivendicare i diritti negati e proporre un nuovo paradigma.
«Sulle droghe abbiamo un piano. Fermiamo la guerra alla droga, contro il governo della paura garantiamo diritti civili e sociali» : è lo slogan dell’iniziativa promossa da una coalizione ampia e radicata, che comprende Antigone, ARCI, CGIL, Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe, Gruppo Abele e oltre dieci altre realtà impegnate ogni giorno sul campo. La distanza tra governo e società civile sul tema delle sostanze stupefacenti non è mai stata così netta. Da una parte, l’esecutivo Meloni spinge sull’acceleratore dell’approccio securitario: dal decreto anti- rave al decreto Caivano, passando per le modifiche al codice della strada e l’ultimo Decreto Sicurezza, che è riuscito a criminalizzare perfino la canapa industriale, priva di effetti psicoattivi. Dall’altra, un fronte sempre più compatto di esperti, attivisti e operatori denuncia il fallimento strutturale della ' guerra alla droga' e chiede un cambio di passo: meno repressione, più salute pubblica e diritti.
L’annuncio pubblicato da Antigone non lascia spazio a dubbi: «A differenza della Conferenza del 2021 — aperta alla partecipazione della società civile e culminata con un innovativo Piano Nazionale poi ignorato dall’attuale esecutivo — il governo Meloni ha escluso le realtà esperte e le persone che usano sostanze. Di fronte a questo, non intendiamo restare in silenzio». La Contro- Conferenza sarà il momento finale di un percorso fatto di iniziative diffuse sul territorio, incontri con i cittadini, dialogo con amministrazioni locali, comitati di quartiere, studenti, sindacati e tutte le forze politiche disposte al confronto.
LA SCIENZA CONTRO L’IDEOLOGIA
Particolarmente contestate sono le dichiarazioni del sottosegretario Alfredo Mantovano, delegato alle politiche sulle droghe, che ha messo in discussione l’efficacia della Riduzione del Danno. Un approccio riconosciuto e sostenuto a livello internazionale, forte di decenni di evidenze scientifiche, che dimostra di ridurre i danni sanitari, contenere le infezioni, prevenire l’overdose e migliorare la convivenza civile, abbattendo stigma e pregiudizi.
«Il governo ignora deliberatamente i dati», denunciano gli organizzatori. «La Riduzione del Danno non è solo una prassi sanitaria, è una scelta culturale e politica, necessaria per affrontare l’evoluzione dei consumi e delle sostanze». Nonostante sia stata formalmente inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza, la sua applicazione resta a macchia di leopardo. In molte regioni, chi ha bisogno resta scoperto.
La Contro- Conferenza non si limita a criticare: vuole mettere in campo un’alternativa concreta. Al centro del confronto ci saranno proposte precise: depenalizzazione e decriminalizzazione dell’uso personale, anche sul piano amministrativo; regolazione legale della cannabis; attuazione uniforme dei LEA per la Riduzione del Danno; potenziamento delle misure alternative alla detenzione, con particolare attenzione per le madri detenute. L’obiettivo è costruire un nuovo paradigma basato su salute pubblica, giustizia di comunità e diritti umani. «Il fallimento del modello repressivo è documentato anche nei report ufficiali delle Nazioni Unite», sottolineano le organizzazioni. «Serve una svolta radicale: non più guerra alla droga, ma governo sociale del fenomeno».
La coalizione promotrice si allarga. Oltre alle quindici sigle già aderenti ( tra cui A Buon Diritto, CNCA, Comunità San Benedetto al Porto, LILA, ITANPUD, ITARDD, L’Altro Diritto, Meglio Legale, Tutela Pazienti Cannabis), il fronte riformista punta a coinvolgere anche le città aderenti alla rete ELIDE, alcune regioni considerate virtuose e le reti europee attive sul tema. Le adesioni restano aperte sul sito www.conferenzadroghe.it, dove è disponibile anche il programma dell’iniziativa.