L’intervento che segue è un ampio estratto dell’articolo pubblicato dall’avvocato Riccardo Radi sul blog “Terzultima fermata” (https://terzultimafermatablog8460979 35.wordpress.com/), lo spazio on line curato dallo stesso Radi insieme con Vincenzo Giglio.

di RICCARDO RADI*

Storia di una innocente che si dichiara colpevole pur di non avere più nulla a che fare con la giustizia. Giustizia che non le ha creduto quando lei, l’innocente, raccontava il vero e che l’ha imprigionata fino a “convincerla” a dire il falso. D’altra parte, anche un ex ministro della Giustizia dichiarò alla stampa che “gli innocenti non finiscono in carcere”. Nella storia che racconto ci sono due innocenti che finiscono in carcere nello stesso procedimento per delle accuse infamanti: il primo, accusato dell’omicidio di una ragazza, si farà 30 mesi di carcerazione preventiva, e la seconda 3 mesi per favoreggiamento. In tanti “credono” che gli assolti siano persone che la fanno franca, noi raccontiamo di innocenti che sono stati stritolati dal sistema giustizia. Nelle aule dei Tribunali accade anche che una persona che patteggia la pena, quindi si dichiara colpevole, venga successivamente assolta perché il fatto non sussiste! Infatti, parleremo di un caso che nella prassi giudiziaria raramente accade: la revisione di una sentenza di patteggiamento. La vicenda ha per protagonista la signora V.G., una tranquilla badante moldava che viene chiamata dalla polizia per testimoniare in merito alla presenza nella sua abitazione di un indagato per omicidio. La signora V.G. ricorda chiaramente la circostanza e riferisce in maniera dettagliata orari e riferimenti precisi relativi al fatto che effettivamente il signor A.C. fosse il giorno 1° dicembre del 2008, dalle ore 10.30 alle ore 16.00, presso la sua abitazione per svolgere un lavoro di riparazione e per fermarsi poi a mangiare. La Procura della Repubblica di Roma non le crede, e per ben tre volte la convoca, e sempre più insistentemente la mette alle strette. Gli inquirenti acquisiscono i tabulati telefonici delle utenze dell’indagato e della V.G., e raccolgono le dichiarazioni delle altre due persone che avrebbero dovuto parzialmente riscontrare l’alibi. Dalla lettura dei verbali delle testimoni risultano parziali differenze nell’indicazione degli orari, differenze che però sembrano scaturire dalla non perfetta conoscenza della lingua italiana. Sia la V.G. che le altre due donne ascoltate non sono italiane, ma non vengono esaminate in presenza di un interprete perché tutte dichiarano di parlare e comprendere la lingua italiana. Errore fatale! L’incalzare delle domande, l’uso di un linguaggio tecnico e il riferimento a orari scanditi da minuti rendono le dichiarazioni delle tre donne poco lineari e poco concordanti tra loro. Si arriva alla svolta: la mattina dell’8 ottobre 2010, alle 5.00, la Polizia giudiziaria suona al campanello e notifica una ordinanza di custodia cautelare per il presunto omicida e per la signora moldava, accusata di favoreggiamento, ed entrambi vengono trasferiti in carcere. In sede di interrogatorio di garanzia si dichiarano innocenti, ma non vengono creduti, in virtù del fatto che i tabulati telefonici dimostrerebbero che l’omicida si sarebbe trattenuto solo per una ora nell’abitazione. Quindi avrebbe avuto tutto il tempo per spostarsi e uccidere la giovanissima vittima e di conseguenza la moldava avrebbe mentito. Il Tribunale della Libertà conferma l’ordinanza e la signora V.G dopo 3 mesi di carcerazione preventiva viene scarcerata per scadenza termini. La Procura della Repubblica procede alla richiesta di rinvio a giudizio e all’udienza preliminare il presunto omicida è in stato di detenzione carceraria e la V.G libera con l’accusa di favoreggiamento. La prospettiva è quella che il processo si svolga in Corte di Assise, ma dopo tre mesi di carcerazione la prospettiva di subire un processo lungo e costoso e le ristrettezze economiche, in seguito dell’arresto, per aver perso il lavoro sono tutti buoni motivi per lasciarsi alle spalle la triste storia. Davanti al Giudice dell’udienza preliminare di Roma si patteggia una pena di nove mesi di reclusione, pena sospesa. La signora VG, però, non rinuncia a testimoniare nel processo per l’omicidio e grazie al suo atto di coraggio civico e alle sorprendenti circostanze che in realtà l’attento esame dei tabulati telefonici confermano l’alibi dell’omicida: la vittima sarebbe morta per cause naturali. Si i arriva così alla svolta. L’imputato AC viene assolto perché il fatto non sussiste dopo 2 anni 5 mesi e 7 giorni di carcerazione preventiva. Per questo orrore giudiziario si riesce a ottenere il 24 gennaio 2017 dalla Corte di appello di Roma il risarcimento di 260mila euro, ma questa è un’altra storia. Illustrata la vicenda ora è necessario entriamo nel particolare della posizione della signora V. G. La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di quest’ultime, alla luce della regola di giudizio posta, per il rito alternativo. Le nuove prove devono consistere in elementi tali da dimostrare che l’interessato deve essere prosciolto secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 c.p.p., così come applicabile nel patteggiamento. Tale differenza rispetto ai parametri utilizzati nella revisione delle sentenze “ordinarie” trova la sua spiegazione nella peculiarità della pronuncia emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., in cui il controllo giudiziale è appunto limitato ad escludere la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Questa regola è stata ribadita dalla Cassazione – sezione sesta penale – con sentenza n. 25308 del 9 giugno 2015. Per i giudici di piazza Cavour, l’estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, ad opera della L. n. 234 del 2003, risulta notevolmente più contratta rispetto alla revisione ordinaria. Infatti nel caso delle pronunce ex art. 444 c.p.p., il giudice viene chiamato a stabilire se le prove sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di letture radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il patteggiamento, atti che di per sé non erano tali da reclamare l’adozione di una pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. In caso contrario, – conclude la Corte – “la revisione cesserebbe di essere un mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Sez. 6, 24 maggio 2011, n. 31374; Sez. 3 sent. 13032/14 e 23050/13; sez. 4 sent. 26000/13). Ed ancora più recentemente, la Cassazione sezione 2 sentenza numero 24365 del 23 giugno 2022, ha chiarito: “è ammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di patteggiamento per inconciliabilità con l’accertamento compiuto in giudizio nei confronti di altro imputato per il quale si sia proceduto separatamente ma è, tuttavia, necessario che l’inconciliabilità si riferisca ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e non già alla loro valutazione”. Principio ribadito tra le tante da (Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, Elia, Rv. 281188 – 02; Sez. 5, n. 10405 del 13/01/2015, Rv. 262731 – 01); – in ogni caso, «in tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giudicati ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il giudizio sull’ammissibilità o meno della domanda di revoca della sentenza non può prescindere da una pur sommaria valutazione e comparazione tra le due sentenze che si assumono in contrasto, non potendo il giudice limitarsi a verificare esclusivamente l’irrevocabilità della decisione che avrebbe introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale sentenza ai fatti oggetto del giudizio di condanna» (Sez. 2, n. 29373 del 18/09/2020, Nocerino, Rv. 280002 – 01). Nel caso in esame c’è una sentenza definitiva di assoluzione per l’omicidio che rende inconciliabile la sentenza di patteggiamento. In base a questo presupposto viene redatta la richiesta di revisione alla Corte di appello di Perugia che, in data 22 aprile 2016, ha revocato la sentenza emessa in data 15 luglio 2011 dal Gup di Roma ed ha assolto la Signora V.G. perché il fatto non sussiste! Finalmente, dopo circa 6 anni dall’arresto si arriva a mettere un punto sulla triste storia che ha segnato in maniera indelebile la Signora VG, la quale ancora oggi non riesce a parlare della sua odissea. Pochi giorni fa mi ha riferito di avere ancora gli incubi e di sognare di risvegliarsi in carcere e provare l’umiliazione di non essere creduta. (*avvocato)