«Siamo per la severità nello svolgimento dell’esame, ma in modo che sia funzionale a una selezione basata sul merito, non a ridurre il numero dei promossi». Il presidente dell’Unione nazionale Camere civili, Antonio De Notaristefani, è netto: l’accesso alla professione di avvocato deve essere garantito ai giovani preparati e che abbiano svolto un periodo di formazione effettivo, premiando il merito e l’impegno e tenendo conto della situazione reale e delle concrete possibilità lavorative. Precisazioni che il leader di Uncc ha fatto ieri in commissione Giustizia alla Camera, nell’audizione sulle proposte di modifica presentate dal dem Carmelo Miceli e dal grillino Gianfranco Di Sarno.

Proposte il cui intento - agevolare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro - viene condiviso da De Notaristefani, che però invita a fare i conti con la realtà: non è il superamento dell’esame, ha sottolineato, che consente ai giovani di inserirsi nel mercato del lavoro, che richiede invece «molto più tempo». Entrambe le proposte di legge partono da un presupposto, ovvero che oggi la professione forense vada verso la specializzazione, motivo per cui all’esame, nell’ottica della riforma, viene dato un taglio specialistico. Ma è una esigenza vera soltanto in parte, ha spiegato De Notaristefani. «Sicuramente l’esame, per come è impostato attualmente, è anacronistico, perché richiede una conoscenza paritaria di materie eterogenee come possono essere civile e penale - ha evidenziato -. Ma è vero anche che la specializzazione deve essere il segmento finale di una preparazione professionale, e che non si può prescindere da una conoscenza complessiva dell’ordinamento».

Insomma, non si può essere avvocato civilista ignorando totalmente il diritto e la procedura penale. No, dunque, ad una riduzione del numero di prove, mantenendo invece lo schema attuale con tre prove, e no all’utilizzo di codici annotati con la giurisprudenza. E il periodo di pratica presso lo studio legale non può essere sostituito totalmente da corsi specializzati: «Occorre una conoscenza diretta delle numerose problematiche che devono essere affrontate e risolte quotidianamente nell’esercizio della professione». Meglio immaginare, invece, una via di mezzo, con una valutazione soltanto complessiva e non delle singole prove, a patto che per ognuna venga raggiunto un punteggio minimo dignitoso. Con riferimento alla prova orale, le materie potrebbero essere ridotte da sei a cinque, ovvero ordinamento e deontologia forense, diritto processuale civile, diritto processuale penale, e due materie a scelta tra diritto civile, penale, amministrativo, tributario, commerciale e diritto dell’Unione europea. La cosa più importante è fare in modo che venga premiato «il merito, non il censo». Perché «specializzarsi richiede due anni di tempo e parecchio denaro». Ma i problemi evidenziati da De Notaristefani sono anche altri: l’intera struttura della commissione d’esame, ad esempio, «è un gigantesco meccanismo di captazione del consenso». Inoltre, «il numero di candidati e quindi il numero di commissioni porta a un’enorme disparità di valutazione». Ciò non vuol dire, però, che le prove scritte, costituite da un parere in diritto civile, un parere in diritto penale e un atto a scelta, debbano essere sostituite da test o simili.

«Una soluzione intermedia potrebbe essere quella di mutuare la disciplina dell’esame notarile, cioè una preselezione mediante quiz che consenta, per un verso, di rendere i numeri gestibili e per l’altro di garantire la parità di trattamento nella correzione, perché credo che quelli siano veramente i due problemi più gravi: disparità di valutazione fra singole sottocommissioni e il numero enorme di candidati», ha suggerito De Notaristefani. Che ha sconsigliato di svolgere più di due sessioni di esami l’anno, in quanto il numero di candidati e la complessità degli elaborati non lo consentirebbero, «ma potrebbe essere prevista l’opportunità di sostenere la prova orale una seconda volta, in caso di esito negativo della prima, quando si sia superata la prova scritta».

Il presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Mario Perantoni, ha annunciato, a propria volta, una rapida revisione delle intere regole di accesso alla professione: «Capisco il senso di delusione degli aspiranti avvocati per il rinvio dell’esame di abilitazione dovuto alla nota emergenza sanitaria, ma non condivido le proteste di piazza. Non c’erano alternative - ha sottolineato -. I futuri avvocati, anelli di congiunzione tra i cittadini e giustizia, accederanno alla professione a seguito di un esame che dovrà certificare la loro massima professionalità, come prevedono le proposte di legge Di Sarno- Miceli» .