Abbiamo finalmente un ministro della Giustizia che ha competenza in materia penitenziaria, tanto da fotografare perfettamente la disastrata realtà carceraria, ma arriva di nuovo l’ex pm Piercamillo Davigo che sulle pagine de Il Fatto ripete le sue fallacie logiche di sempre. D’altronde, tanto più vengono ripetute, tanto più diventano vere. Riportiamo i suoi passaggi. Davigo scrive: «Secondo i dati del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (consultabili da chiunque in Internet) al 30 settembre 2021 in Italia vi erano 53.930 detenuti in carcere a fronte di 50.857 posti dichiarati. Però lo stesso sito del Dap ricorda che quei posti sono calcolati sulla base di una superficie per detenuti così calcolata: 9 metri quadrati per il primo occupante e 5 metri quadrati per ogni occupante ulteriore (cioè la superficie per l'abitabilità delle case di civile abitazione), mentre la media europea è di 4 metri quadrati a detenuto». Ci risiamo. Primo ragionamento fallace. Come la mette Davigo, sembrerebbe che effettivamente il sovraffollamento sia “virtuale”: c’è tanto di quello spazio, visto che si calcola i 9 mq, che addirittura i detenuti sono larghi in cella. Ovviamente basterebbe entrare in qualsiasi penitenziario e ci si accorgerebbe che di virtuale c’è solo il discorso geometrico. Astrattamente, infatti, potremmo mettere diversi detenuti in una unica cella e ciò non è possibile farlo concretamente, a meno che non si abbattano le mura per fare un enorme camerone. Che sia, in astratto, utilizzato lo standard di 9mq è vero, ma non lo si rispetta. C’è una complessità che Davigo non conosce. Accade che dentro uno stesso carcere convivono tipologie di sezioni che presentano punte maggiori di sovraffollamento tra di loro. Quindi sì, il sovraffollamento è reale. Davigo dovrebbe sapere che bisogna scendere fino al 98% della capienza ufficiale regolamentare, considerata in alcuni paesi la percentuale fisiologica di un sistema che deve sempre prevedere la disponibilità di un certo numero di posti liberi per eventuali improvvisi arresti o, come abbiamo visto, situazioni tipo la pandemia per poter non essere colti alla sprovvista. Poteva andare peggio se tutti avessero dato retta a Davigo e quindi evitare quelle minime misure deflattive che sono state applicate durante la pandemia. C’è da dare atto che più avanti, l’ex pm si augura un alleggerimento della popolazione penitenziaria. Ma lo pone in questo modo: «Certo si può auspicare una diminuzione della popolazione detenuta, sempre che vi sia una diminuzione dei delitti commessi, non potendosi pensare a depenalizzare omicidi e lesioni, furti e rapine e altre simili condotte». In realtà è l’ennesima fallacia logica. Nei fatti, i reati, compresi quelli “gravi”, sono costantemente diminuiti in questi ultimi anni (fonte Istat), addirittura sono “crollati” con la pandemia (fonte ministero dell’Interno). E come mai, nonostante ciò non c’è stata una diminuzione dei detenuti? Ce lo spiega Antigone nel suo ultimo rapporto. In generale negli ultimi 15 anni vi è stata una crescita della durata delle pene inflitte segno di maggiore severità dei giudici di cognizione. Sono circa 19mila invece i detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni e potenzialmente ammissibili a una misura alternativa alla detenzione, salvo quella quota che è sottoposta a divieti normativi in ragione del reato commesso. Se solo metà di loro ne fruisse, avremmo risolto parte dei problemi dell’affollamento carcerario italiano. Forse è opportuno che l’ex magistrato Davigo legga bene le fonti e numeri, considerando le complessità. Potrebbe confrontarsi con gli addetti ai lavori, tipo il garante nazionale delle persone private della libertà e le associazioni che lavorano sul campo.