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La Corte di Appello di Torino ribaltato una condanna per violenza sessuale assolvendo l'imputato perché - sarebbe la versione dei giudici - la ragazza aveva bevuto troppo e con il suo atteggiamento lo avrebbe indotto a «osare». Per il gup, che aveva condannato il ragazzo a 2 anni 2 mesi e 20 giorni con rito abbreviato, «non vi può essere alcun dubbio» che si trattò di violenza sessuale. Ma per i giudici di Appello «non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito a osare. Invito che l’uomo non si fece ripetere, ma che poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico». L'episodio risale al 2019, quando il giovane avrebbe abusato dell'amica nel bagno di un locale in centro città. I due si conoscevano da tempo, e dopo un avvicinamento consumato con qualche bacio, il loro rapporto era proseguito come una amicizia. Quella sera si erano incontrati per un aperitivo, lui le avrebbe dichiarato il suo interesse, ma lei avrebbe respinto le avances. «Il ragazzo - spiega il gup - le aveva detto di avere un debole per lei, sicché non avrebbe perso le speranze e sarebbe stato disponibile a iniziare un rapporto sentimentale non appena lei l’avesse voluto». Ma lei «ci teneva a chiarire con l’amico che il bacio scambiato al loro precedente incontro era da intendersi come un fatto episodico, in quando lei non aveva alcuna intenzione di iniziare una relazione sentimentale». E anche dopo, nel locale del bagno, la ragazza avrebbe espresso più volte, e in maniera decisa, il suo dissenso. «Non voglio», ha ripetuto quella sera la ragazza, il cui racconto è stato reso con «dichiarazioni reiteratamente ribadite con costanza, precisione e coerenza, oltre che in sintonia con le ulteriori risultanze acquisite». Ragione per cui la procura, che ha impugnato la sentenza in Cassazione, ritiene che la decisione della Corte d'Appello debba ritenersi «illogica». «La Corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale», si legge nel ricorso firmato dal sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino. «Illogica appare la sentenza quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso». Ma per i giudici d'appello «l’unico dato indicativo del presunto abuso» potrebbe essere considerato la zip dei pantaloni di lei strappata. L'imputato però «non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane», per cui «nulla può escludere che sull'esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura». E dunque «il fatto - concludono i giudici d'Appello - non può essere inteso come inequivocabilmente deponente in senso accusatorio dalla Procura generale». Anche perché, motiva la Corte - «al momento dei fatti la ragazza era alterata per un uso smodato di alcol» ed «è quindi altamente probabile che non fosse pienamente in sé quando richiese di accedere al bagno, provocò l’avvicinamento del giovane che invero la stava attendendo dietro la porta, custodendo la sua borsetta: non solo, ma si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire».