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«Il sovraffollamento c’è, ma non si sente». Così dissero gli amici di Nessuno Tocchi Caino, in visita al penitenziario di Busto Arsizio lo scorso 1 luglio. «È una struttura decorosa e ben organizzata» riconobbero gli avvocati della camera penale locale nell’ormai tradizionale incursione estiva, lo scorso 5 agosto. Eppure il dolore non guarda in faccia nessuno e una persona si è tolta la vita. Una persona entrata da poco e in un periodo dell’anno già di suo meno affollato di personale, ma altamente sovraffollato di persone detenute: l’estate. Meno orecchie ad ascoltare un dolore che, senza bussare, si è portato via la sua storia con la sua vita.
Ho raccolto molta compassione girando per la sezione, mentre il corpo inerme giaceva dietro il blindo chiuso, in attesa dell’autorità giudiziaria. Non molta empatia: era lì da poco e non aveva raccontato molto di sé. «Ma non lo capiscono che noi qui stiamo male?»: mi sono avvicinato per calmare un ragazzo, qualche cella più in là, che stava cercando forse di sfogare un po’ di rabbia, provocando il poliziotto in sezione. È bastato un po’ di ascolto, con le mani intrecciate sulle sbarre della ‘camera di pernotto’ e la temperatura interiore è scesa. Quell’ascolto che non siamo riusciti a offrire a chi ci è stato strappato troppo alla svelta dalla disperazione.
Certo, le celle chiuse non aiutano. Come cappellani della Lombardia l’avevamo detto in un comunicato il 21 febbraio 2024, a pochi mesi dall’entrata in vigore della circolare, la cui attuazione si tradusse in un “chiusi tutti”. Le operazioni per avvisare il personale, far sì che giunga e provi a evitare il peggio diventano più macchinose. Ci sono più giri di chiave da fare. Noi che siamo dentro tutti i giorni lo sappiamo bene: la maggior parte delle volte sono “colpi di testa”, momenti, passati i quali le persone sopravvissute ringraziano per essere state salvate. Da se stesse e dal proprio dolore. Questa volta non si è arrivati in tempo. In pieno giorno. Alle 13.30. Mandate all’aria le persone che volevano, sola e indisturbata, senza autorizzazioni di sorta, la sofferenza si è portata via una persona.
Bisogna anche dire che il Ministro Nordio non sembra aver raccolto consenso, prendendo la parola sul tema, in questi anni. L’insistenza sulla non dipendenza tra aumento dei suicidi e aumento del sovraffollamento sembra una via di fuga da entrambi i problemi. La recente formulazione addirittura contraria, per cui il sovraffollamento li ridurrebbe – perché ci sono più occhi a vedere – è semplicemente inveritiera, visti i dati di questi anni. La querelle estiva avviata dalla relazione del Garante dei diritti dei detenuti ha lasciato l’amaro in bocca a molti, che hanno sentito in questa “contabilità mortuaria” un senso di leggerezza quasi più drammatico della cosa stessa. Non sto qui a riprenderla. Piace però ricordare quanto abbia affermato l’inquilino di via Arenula in visita a San Vittore lo scorso 22 luglio: «Ogni vita spezzata dietro le sbarre è una sconfitta dello Stato. Non possiamo rassegnarci alla retorica dell’inevitabile». Dentro queste parole possiamo sentirci a casa.
Invito a non frequentare i social, dove esce l’animo più belluino del paese. Facebook in particolare, con cinquantenni che, volto e nome in vista, scrivono le più becere ed esecrabili affermazioni. Davanti a cui il Magistrato e Beato Livatino avrebbe detto: «Davanti alla morte, chi crede, prega; chi non crede, tace». Parole da fare nostre anche oggi. Giravo per la sezione e con due persone detenute ci siamo messi davanti a quel blindo chiuso, divenuto tomba per qualche ora. Abbiamo detto una preghiera lì, in mezzo al reparto. C’è ancora umanità, c’è ancora speranza. Dentro.
*Cappellano Casa Circondariale Busto Arsizio
Fondatore La Valle di Ezechiele