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La Camera Penale di Catanzaro
“Bisogna aver visto”, scriveva Piero Calamandrei nel 1948 denunciando la disumanità delle carceri italiane. Parole che oggi, a distanza di oltre settant’anni, risuonano ancora con forza. Lo ha ricordato la visita compiuta il 14 agosto 2025 alla Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, organizzata dalla Camera Penale “Alfredo Cantàfora” nell’ambito dell’iniziativa nazionale promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane e dal suo Osservatorio Carcere. Un appuntamento che non è solo simbolico: entrare dietro le sbarre nel giorno di Ferragosto, mentre il Paese festeggia, significa guardare da vicino la realtà quotidiana di chi vive recluso, in condizioni che spesso sconfinano nella negazione dei diritti fondamentali.
Alla guida della delegazione il presidente della Camera Penale di Catanzaro, Francesco Iacopino, affiancato dal segretario Antonella Canino, dai consiglieri Stefania Mantelli, Angela La Gamma e Vincenzo Galeota (membro dell’Osservatorio Carcere nazionale), dai probiviri Vincenzo Ranieri e Piero Mancuso, e dagli avvocati soci Antonio Gustavo Mungo, Alessandra Coppolino, Adriano Anello, Francesco Ielapi, Francesca De Fine, Francesco Mancuso e Danila Scicchitano.
Con loro i rappresentanti delle istituzioni e della società civile: Filippo Mancuso, presidente del Consiglio regionale della Calabria; Gianmichele Bosco, presidente del Consiglio comunale di Catanzaro; Luciano Giacobbe, garante regionale dei diritti dei detenuti; Valerio Murgano, componente di Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane; Leo Pallone, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici e direttore della rivista Ante Litteram.
La direttrice dell’istituto, Patrizia Delfino, ha accolto la delegazione illustrando lo stato del carcere. Molto dettagliata la relazione a cura degli avvocati Francesco Maria Ielapi, Antonio Gustavo Mungo, Alessandra Coppolino, Angela Amato, coordinata dagli avvocati. Vincenzo Galeota e Pietro Mancuso. Su 680 posti regolamentari, i detenuti presenti sono 625. Quasi la metà di loro è in attesa di giudizio, un dato che raddoppia la media nazionale e conferma il peso enorme della custodia cautelare. Ancora più critico il quadro sanitario.
Ben 174 detenuti soffrono di patologie psichiatriche – quasi un terzo della popolazione – a fronte di soli quattro psicologi disponibili. Gli educatori in servizio sono dieci, un numero largamente insufficiente per garantire percorsi individualizzati.
Sul piano strettamente medico, la situazione non è migliore: reparti specialistici ci sono, ma dopo le 20 non vi è alcuna presenza di medici. Un’assenza che, come hanno raccontato alcuni detenuti, rende drammatica la gestione delle emergenze. Un recluso colpito da infarto ha dichiarato di aver atteso quattro ore prima di ricevere cure.
La delegazione ha visitato diverse aree dell’istituto, tra cui i locali per fisioterapia ( dove una piscina resta inutilizzata per mancanza di bagnini e fisioterapisti), i reparti medici, l’area di degenza, il laboratorio di pasticceria e alcune cucine.
Nelle sezioni di Alta Sicurezza, i detenuti hanno denunciato docce malfunzionanti – quattro utilizzabili su otto – e orari che si sovrappongono a quelli destinati all’aria aperta. Celle di appena 12 metri quadrati, in cui vivono fino a tre persone, senza frigoriferi né aria condizionata. Un caldo insopportabile che si aggiunge alla mancanza di spazi vitali. L’ascensore spesso guasto, la lavanderia a pagamento, i surgelatori insufficienti completano un quadro di disagio.
Il senso di isolamento è altrettanto forte: poche ore d’aria, poche telefonate concesse, divieto di ricevere pacchi alimentari, difficoltà a comunicare con le famiglie, visite sporadiche del magistrato di sorveglianza. Molti hanno denunciato che le istanze rivolte alla direzione restano senza risposta.
Nella sezione di Media Sicurezza, oltre al sovraffollamento, i detenuti hanno lamentato disservizi sanitari analoghi, l’impossibilità di telefonare nei giorni festivi, la mancanza di attrezzature sportive e materiali ricreativi, difficoltà burocratiche per ottenere certificazioni, e l’impossibilità di comunicare via e- mail con i familiari. Un mosaico di criticità che alimenta un sentimento diffuso: quello dell’abbandono.
La direttrice Delfino non ha nascosto le difficoltà e ha ribadito che senza un impegno concreto della politica non sarà possibile migliorare le condizioni. Servono interventi strutturali – docce in ogni cella, rifacimento di impianti elettrici e idraulici, ristrutturazione di tetti e facciate – ma anche potenziamento del personale sanitario ed educativo.
Per gli avvocati dell’Osservatorio Carcere, la questione non è tecnica ma costituzionale: la pena non può diventare abbandono né vendetta sociale. L’articolo 27 della Costituzione, che impone trattamenti rispettosi della dignità umana e finalizzati alla rieducazione, rischia di restare lettera morta.