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Marta Cartabia costretta a congelare le proprie riforme dalla crisi grillina
Nervi tesi e trattative andate a vuoto. Quella di ieri è stata una giornata di nuove fibrillazioni per la maggioranza, che ancora una volta si spacca sulla riforma del Csm. Lega e Italia Viva hanno infatti deciso di non raccogliere l’invito della ministra Marta Cartabia a ritirare gli emendamenti e percorrere in tranquillità e speditezza «gli ultimi 100 metri» che portano all’approvazione della legge delega. Un'esortazione ai partiti di maggioranza che la Guardasigilli ha fatto nel vertice di ieri mattina, prima che in Commissione giustizia partisse la votazione delle oltre 260 proposte di modifica al testo della riforma già approvata dalla Camera il 26 aprile scorso, quando a seguire le indicazioni del governo fu anche il partito di Matteo Salvini, oggi in prima fila nel dichiarare guerra al testo. Il tentativo di Cartabia, in mattinata, era stato “addolcito” con la promessa fatta dal ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D'Incà di non usare l’arma della fiducia, che già non poche polemiche aveva generato quando il testo era fermo alla Camera. Ma l’appello è comunque caduto nel vuoto: quando attorno alle 19 è iniziato il voto in Commissione, i 61 emendamenti della Lega - pensati nel solco dei temi referendari - e i circa 80 di Italia Viva erano ancora tutti sul piatto. E ciò nonostante la richiesta della ministra sia legata anche alla necessità di votare a settembre per le elezioni del nuovo Consiglio superiore della magistratura con le nuove norme: qualsiasi modifica al testo, infatti, implicherebbe un ritorno della riforma a Montecitorio e ciò allungherebbe i tempi in maniera eccessiva. Anche perché senza lo stop concesso alla Lega per portare avanti in maniera più incisiva la campagna per i referendum sulla giustizia si sarebbe potuti procedere col voto già a luglio, evitando dunque di prolungare la vita di una consiliatura devastata da scandali e giochi di potere. Da qui l’esigenza di evitare incidenti di percorso, non fatta propria, però, dal Carroccio e da IV. Tale ostruzionismo non dovrebbe però mettere a repentaglio l’approvazione della legge delega - il cui arrivo in Aula è previsto per domani -, dal momento che i numeri non consentirebbero ai due partiti di mandare sotto il governo, almeno sul fronte del voto. Così in Commissione gli emendamenti sono stati respinti per 14 voti a 10 (nel momento in cui scriviamo si stanno votando le proposte di modifica dell’articolo 5), con Lega, Fdi, Iv e Alternativa che hanno votato contro le indicazioni del governo, che nel primo pomeriggio aveva formalizzato il proprio parere negativo. Nessun rischio concreto, dunque. Ma dopo l’astensione di Italia Viva alla Camera - posizione che quasi certamente verrà mantenuta anche in Senato - la scelta della Lega, rimasta scottata dal flop del referendum, rappresenta comunque una spia d’allarme per la stabilità della maggioranza del governo Draghi. «Le proposte della Lega sono migliorative e vogliamo che sia il Parlamento ad esprimersi nel merito, come previsto dalla nostra Costituzione - avevano fatto sapere in giornata i senatori leghisti presenti in Commissione, Simone Pillon (capogruppo), Emanuele Pellegrini, Pasquale Pepe e Francesco Urraro. -. Il nostro intento è garantire alla stragrande maggioranza di magistrati liberi di poter continuare a svolgere il loro compito. Peraltro non possiamo ignorare il segnale di quei 10 milioni di italiani che hanno votato i referendum e hanno dato un’indicazione chiara in tema di giustizia. Crediamo che sia necessaria una svolta su questo fronte ed è giusto che ci sia una discussione in Parlamento, organo preposto a tale funzione». L’atteggiamento di Lega e Italia Viva, per tutta la giornata di ieri, ha fatto stare sul chi va là le altre forze di maggioranza. A partire da voci autorevoli come quella del sottosegretario alla Giustizia, il forzista Francesco Paolo Sisto, secondo cui se il Csm venisse eletto con le vecchie regole «il Parlamento ne uscirebbe a pezzi». Ma nulla da fare: «Noi vogliamo migliorare il testo, se sui nostri emendamenti c'è una maggioranza bene, altrimenti ne prendiamo atto», ha detto il presidente della Commissione e relatore, il leghista Andrea Ostellari, prima di rimettersi al voto dei colleghi. E fuori dalle stanze del Senato il caos politico è stato palpabile per tutta la giornata, tant’è che dal Pd è arrivata l’accusa a Lega e Iv di voler affossare la riforma. P er la capogruppo al Senato Simona Malpezzi, «sarebbe irresponsabile se qualcuno decidesse di far saltare l’accordo», mentre per il capogruppo in commissione Franco Mirabelli «c’è solo questa riforma, nessun’altra». Più deciso il j’accuse della vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia per il Pd, Anna Rossomando. «Mi pare evidente - ha evidenziato - che qualcuno, dopo la sconfitta al referendum, punti all’affossamento della riforma Cartabia». E in serata è arrivato anche l’affondo del segretario dem Enrico Letta, che ha addirittura esortato il governo a rivedere la decisione di non usare l’arma della fiducia, accusando il Carroccio di voler bloccare la riforma dopo il flop alle urne di domenica scorsa. «Sono colpito dal fatto che la reazione Lega, rispetto a un referendum che ha voluto e ha perso, è quella di continuare a rendere impossibile la riforma in Parlamento - ha detto il segretario dem ospite a diMartedì, su La7 -. Lo dico a presidente del Consiglio e al governo: se continua così, l'unico modo per fare la riforma sarà mettere la fiducia al Senato e poi di nuovo alla Camera. Perché la giustizia è un tema fondamentale. È uno dei problemi di competitività del nostro Paese». Ma ad essere preoccupati sono anche i senatori del Movimento 5 Stelle, che nel corso del vertice di maggioranza hanno evidenziato come la politica delle «mani libere» di Lega e Iv sarebbe «inaccettabile» e rischiosa in vista di altri passaggi parlamentari delicati, come quelli relativi alla guerra in Ucraina, il dl concorrenza e il decreto aiuti.