Merita di essere riletta l’intervista che nel 2013 il dott. Giancarlo Capaldo rilasciò a margine della presentazione del suo libro “Roma Mafiosa, cronache dell’assalto criminale allo Stato”.L’allora potentissimo procuratore aggiunto di Roma, alla domanda di Affari italiani se fosse necessaria una riforma della giustizia partendo proprio dal codice di procedura penale, rispose: «A vent’anni di distanza questo Codice ha dimostrato di non funzionare più. Anzi possiamo dire che è tra le cause delle lentezze del processo e non garantisce, con i suoi formalismi, i diritti della difesa com’era nelle intenzioni del legislatore dell’epoca».Non contento, rincarò la dose: «La storia giudiziaria recente è una storia di troppe prescrizioni derivanti da una inutile lentezza del dibattimento che non avvicina ma allontana la verità». Parole condivisibili in toto. Già nel 1763 Cesare Beccaria, scrivendo “Dei delitti e delle Pene”, affermò infatti la necessità che il processo fosse il più rapido possibile.Senonché, nello stesso momento in cui Capaldo rivendicava tempi processuali in linea con il dettame costituzionale del giusto processo, teneva “in sonno” in qualche armadio della sua cancelleria le 40.000 pagine del procedimento penale 24117/2016.L’ormai celebre procedimento penale per i reati di epidemia dolosa che ha visto fra gli indagati la virologa Ilaria Capua ed alcuni fra i massimi vertici del ministero della Salute e di alcune università italiane. Conclusosi questa settimana con l’assoluzione degli imputati perchè «il fatto non sussiste». E sulla cui vicenda giovedì il Consigliere togato Pierantonio Zanettin ha chiesto al Comitato di presidenza del Consiglio superiore della magistratura l’apertura di una pratica a carico proprio di Capaldo per «incompatibilità ambientale».Un passo indietro. Nel 2005 i carabinieri del Nas di Roma, seguendo una pista statunitense, si convincono di aver scoperto una associazione a delinquere finalizzata a speculare sulla vendità dei vaccini contro l’influenza aviaria. Dopo due anni di intercettazioni disposte da Capaldo, gli inquirenti ritengono che Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, in quel momento responsabile del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie sia la figura di spicco del sodalizio criminoso. Una scienziata classificata dalla rivista Scientific American tra i primi 50 al mondo e nota per aver isolato il virus H5N1, quello, appunto, dell’influenza aviaria.Nel 2007, quindi, l’indagine può dirsi conclusa. Ma, invece di chiedere come sarebbe normale il rinvio a giudizio, Capaldo inspiegabilmente “iberna” il fascicolo.Dopo 3 anni di silenzio e non avendo più notizie del fascicolo, il Nas di Roma nel 2010 sollecita, senza alcun risultato, Capaldo.Nel frattempo, a marzo del 2012, Giuseppe Pignatone è nominato nuovo procuratore di Roma. Ma il fascicolo che vede indagati i massimi vertici della sanità pubblica nazionale resta sempre sullo scaffale della cancelleria di Capaldo.Nell’aprile 2014, il momento di gloria dell’inchiesta. Scoop dell’Espresso: «La cupola dei vaccini», con pubblicazione delle carte del procedimento penale fino a quel momento “top secret”.A quel punto, pure gli avvocati degli indagati, fra cui appunto quelli della Capua, ormai esposta al pubblico ludibrio, chiedono a Capaldo una definizione del procedimento penale “stagionato”. Anche perchè, il ragionamento, o le accuse sono fondate e un’associazione a delinquere finalizzata ad avvelenare il Paese va messa nelle condizioni di non nuocere, o invece non reggono e allora gli indagati vanno subito affrancati dalla spada di Damocle giudiziaria.L’avviso di conclusione indagini e le richieste di rinvio a giudizio per i 40 indagati arrivano a giugno 2014.L’udienza preliminare, nel maggio dell’anno successivo, vede il gup dichiarare l’incompetenza territoriale di Roma, "spacchettando” il processo in tre tronconi. A Verona, Padova e Pavia. A Pavia molti reati arrivano già prescritti. Lo stesso a Padova, dove il pm chiede l’archiviazione per prescrizione (il gup non si è ancora pronunciato). A Verona, e siamo ai giorni scorsi, il gup pronuncia il non luogo a procedere perché "il fatto non sussiste" per la Capua. Il caso è chiuso. Dodici anni persi e milioni di euro spesi per attività investigative buttati.Ma Capaldo non è nuovo a perfomance del genere. A suo carico nel 2015 era stata già aperta una azione disciplinare da parte del Procuratore Generale della Cassazione Pasquale Ciccolo. L’Incolpazione: un figlio assunto alla Terna, società su cui Capaldo ha indagato e per cui non si è astenuto e ha pure chiesto l’archiviazione dopo 4 anni di “assoluta inerzia investigativa”. Un ritardo «senza svolgere qualsivoglia attività d’indagine e cagionando danno ingiusto agli indagati». Senza dimenticare l’indagine per la scomparsa di Emanuela Orlandi. La richiesta di archiviazione, dopo 32 anni di indagini, venne firmata l’anno scorso direttamente da Pignatone dopo che Capaldo aveva richiesto «la revoca dell’assegnazione del procedimento».Cosa altro aggiungere? Un desiderio. Che Capaldo, non più procuratore aggiunto e ormai prossimo alla pensione, si rilegga quando ha tempo la sua intervista.