Il disegno di legge in materia di sicurezza pubblica, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 novembre, ha sollevato considerevoli riflessioni e preoccupazioni tra i Garanti regionali, provinciali e comunali delle persone private della libertà personale. Samuele Ciambriello, il nuovo Portavoce nazionale della Conferenza dei Garanti territoriali, ha elaborato assieme a 28 garanti, un appello che mira a stimolare una riflessione approfondita da parte di parlamentari, magistrati, avvocati, sindacalisti e operatori del terzo settore presenti nelle carceri. Il documento offre un'analisi critica evidenziando le problematiche che potrebbero essere corrette durante il suo percorso parlamentare. Il disegno di legge, correttamente presentato all'esame parlamentare in forma ordinaria, è considerato dagli esperti un terreno aperto a correzioni e modifiche. Tuttavia, i Garanti ritengono cruciale portare all'attenzione delle autorità competenti alcune questioni fondamentali per evitare potenziali conseguenze negative.

Il primo punto sollevato riguarda l'innalzamento dei limiti edittali per reati già previsti e l'introduzione di nuove ipotesi incriminatrici. I Garanti avvertono che ciò potrebbe portare a un sensibile aumento della popolazione detenuta, già in crescita costante dalla fine della pandemia. Al 31 ottobre 2023, il numero di persone detenute era salito a 59.715, con un aumento di 3.519 rispetto all'inizio dell'anno e di 5.581 rispetto all'anno precedente.

Una delle preoccupazioni principali riguarda l'abrogazione dei commi 1 e 2 dell'art. 146 del codice penale. Questa modifica, che rende solo eventuale il differimento di pena, sembra colpire direttamente le donne incinte e le madri con prole di età inferiore a un anno. È fondamentale esaminare attentamente le implicazioni di questa decisione, considerando il contesto storico e le alternative già presenti nel sistema penitenziario italiano. La disposizione che preoccupa riguarda il differimento di pena per le donne in gravidanza e le madri di neonati, un provvedimento introdotto sin dal 1930 con l'intento chiaro di tutelare la maternità, il nascituro e l'infante, preservando al contempo la relazione madre- figlio. L'abolizione di questa garanzia solleva questioni di natura etica e legale, mettendo in discussione l'impegno della Repubblica italiana a proteggere la maternità e l'infanzia, come sancito dall'art. 31 della Costituzione.

La nuova disposizione prevede il differimento della pena solo in presenza di un “pericolo di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti”. Tuttavia, questo concetto di “ulteriori delitti” risulta essere eccessivamente generico e privo di specificità, aprendo la porta a interpretazioni ambigue e arbitrarietà nelle decisioni giudiziarie. È cruciale sottolineare che il sistema penitenziario italiano già dispone di strumenti per gestire situazioni delicate come questa.

L’art. 47- ter, co. 1- ter, consente alla magistratura di sorveglianza di applicare la detenzione domiciliare nei casi di rinvio obbligatorio o facoltativo della pena, quando sussistono ragioni di cautela. Questa misura, con indubbio carattere contenitivo, offre una soluzione flessibile per affrontare le specificità di ogni caso, superando eventuali considerazioni negative sulla pericolosità del soggetto e garantendo contemporaneamente la tutela delle condizioni e situazioni meritevoli di protezione. La nuova previsione legislativa sembra sacrificare l'interesse del minore, riconosciuto come “superiore” secondo la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e ribadito dalla Corte costituzionale italiana in numerose sentenze. Tale sacrificio è giustificato, secondo la motivazione del disegno di legge, da generiche esigenze di tutela della collettività.

Un punto ulteriore di discussione è rappresentato dagli Istituti di Custodia Alternativa Minori (Icam), i quali sembrano essere superati legislativamente dalle Case Famiglie Protette, istituite con la legge 62/ 2011 e finanziata dalla legge 178/ 2020 per il triennio 2021- 2023. La necessità di una valutazione accurata di queste soluzioni alternative si impone per garantire una risposta adeguata alle esigenze delle donne incinte e delle madri coinvolte nel sistema penitenziario.

I Garanti sono preoccupati anche per l'introduzione della nuova fattispecie di “rivolta in carcere” (art. 415- bis c. p.). Si evidenzia la punizione da 2 a 8 anni per la promozione, organizzazione o direzione di una rivolta, e da 1 a 5 anni per la mera partecipazione. La previsione che il reato possa essere contestato a un sodalizio di sole tre persone, anche mediante atti di resistenza passiva, solleva dubbi sulla sua proporzionalità. Si citano esempi di proteste in carcere durante la pandemia, già affrontate con procedimenti penali senza la necessità di introdurre un reato simile. Analoghe previsioni riguardano le rivolte organizzate nei centri di trattenimento e accoglienza per migranti. I Garanti mettono in discussione l'ampliamento della gamma dei delitti ostativi ai benefici penitenziari, già oggetto di critiche da parte della dottrina e degli operatori del diritto.

Le misure proposte per bilanciare le restrizioni, come l'aumento da 4- 5 a 6 il numero delle telefonate per i detenuti e la delega al governo per riformulare il Regolamento penitenziario in materia di lavoro, sono giudicate decisamente insufficienti. In particolare, si sottolinea che le direttive sono eccessivamente generiche e superano le competenze del ministero della Giustizia in materia di lavoro.

In conclusione, l’appello dei Garanti pone l'accento sulla necessità di una discussione approfondita e ponderata in sede parlamentare, al fine di evitare conseguenze dannose sulla popolazione detenuta e garantire un equilibrio tra sicurezza pubblica e rispetto dei diritti fondamentali. Il documento chiude con l'invito alle forze politiche e sociali di agire come portavoce nelle sedi istituzionali appropriate, affinché la legislazione possa essere attentamente valutata e, se necessario, corretta per garantire e coniugare i diritti con l’esigenza della sicurezza.