Discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale da parte delle Procure e separazione delle carriere: i primi temi sui quali il ministro ha dichiarato di voler intervenire

ALESSANDRO PARROTTA

Carlo Nordio ha da subito definito le proprie linee d’azione che intende portare avanti durante la guida del ministero di Giustizia, in parte in continuità con quelle della Presidente Marta Cartabia, dall’altra introducendo significative novità, comunque già auspicate da tempo immemore.

Il faro che sembra guidare quello che sarà l’operato del nuovo Guardasigilli, già Procuratore aggiunto di Venezia nonché presidente della Commissione di riforma del Codice penale ( 2002 – 2006) è contenuto in una recente intervista rilasciata dallo stesso e trae la sua genesi nell’attuazione, vera, profonda e senza correttivi, del Codice di procedura penale del 1989: modalità garantista e ispirata ai principi del diritto penale liberale, a salvaguardia delle prerogative dell’indagato/ imputato e di un giusto processo.

Due, tra gli altri, i temi sui quali Nordio vorrebbe sin da ora intervenire, temi non certo nuovi allo scrivente che già in tempi non sospetti prefigurava l’importanza e la decisività per il futuro della Giustizia italiana di tali riforme, ma che sempre hanno incontrato e tutt’ora incontrano forti dissensi: la discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale da parte degli Uffici di Procura e l’indimenticata separazione delle carriere.

Ha dichiarato il ministro: “ In Italia il Pm e il Gip si sentono quasi obbligati a portare avanti il procedimento fino al rinvio a giudizio o all’archiviazione. Introducendo il potere per il Pm di filtrare a monte i casi di cui viene investito e di non procedere per quelli che ritiene insufficienti, ci sarebbe un gran carico di lavoro in meno”. Grande verità, condivisa soprattutto dai processualisti.

Si badi bene, quello che propone il ministro non pare essere una mera discrezionalità dell’azione penale, all’americana per intenderci, subordinata cioè a valutazioni politiche e dell’Esecutivo, ma discrezionalità ponderata e ancorata a criteri obiettivi, relativi ai carichi giudiziari dei singoli Tribunali; nessuna denegata giustizia, dunque, ma solo una razionalizzazione e concentrazione delle – già scarse – risorse di cui è attualmente destinatario il Sistema giudiziario, penale e non solo.

Si tratterebbe nient’altro che della formalizzazione di uno stato di fatto che già l’esistente ci consegna: la stessa Riforma Cartabia, il cui decreto legislativo di attuazione è di imminente entrata in vigore, già prevede l’introduzione di criteri di priorità “finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza”; criteri che – come indicato nella relazione illustrativa alla Riforma – non hanno valenza puramente organizzativa, ma sono destinati a incidere sulle scelte del Pm, sin dall’attività successiva all’iscrizione della notizia di reato.

Da qui alla discrezionalità, intesa nei termini di cui si è detto, il passo è brevissimo.

E anche sulla separazione delle carriere e il – paventato – rischio di una politicizzazione della figura del Pm, il neo ministro è risoluto nell’assicurare che “ Mai, mai e poi mai, ho pensato alla separazione delle carriere come primo passo verso un controllo del governo sul pubblico ministero. Mi fa inorridire solo l’idea. L’indipendenza della magistratura per me è un idolo. Se non ne avessi un rispetto sacrale non avrei fatto il magistrato ma l’impiegato”.

Più chiaro di così non è possibile esprimere questo irrinunciabile ed incomprimibile principio. L’agenda è fitta ma il già Procuratore aggiunto di Venezia si è dimostrato un uomo di governo, capace di mettere a disposizione della collettività la sua cultura giuridica sì da arrivare dove nessuno – prima d’oggi – è mai arrivato. Può sembrare una dicitura mutuata da qualche romanzo di fantascienza ma, ad onor del vero, rileggendo la storia dalla nascita della Repubblica ad oggi, nessuno è mai stato così risoluto, chiaro e garantista nel dettare l’agenda dei propri lavori.

Che sia la volta buona per restituire al popolo italiano, come la Costituzione insegna, quella piena fiducia che la Magistratura deve avere e che permette alla stessa di essere amministrata nel suo nome. Questo significa applicare la Costituzione!