Se qualcuno ancora si stava interrogando sull’effettiva utilità della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura nell’occuparsi di “esposti, ricorsi e doglianze concernenti magistrati”, la risposta l’ha fornita l’altra sera il consigliere laico Pierantonio Zanettin durante la discussione in Plenum per la votazione della delibera che “salva” dal trasferimento per incompatibilità il procuratore di Arezzo Roberto Rossi. Delibera, ricordiamolo, approvata con 11 voti (dei togati di Unicost, di Magistratura Indipendente, dei laici di Ncd Antonio Leone e di Sel Paola Balducci e del primo presidente della Cassazione) e con l’astensione, oltre che dei relatori, dell’intero gruppo di Area, del pg della Cassazione e del vicepresidente Giovanni Legnini (presente per assicurare il numero legale). Unico voto contrario, appunto, quello di Zanettin, convinto che nell’indagine sul crac Banca Etruria «l’immagine e la credibilità del procuratore siano definitivamente compromesse» a causa dei suoi rapporti con Boschi padre, prima negati poi, davanti all’evidenza dei fatti, confermati.«Che la maggioranza del Plenum fosse orientata a chiudere l’affaire Rossi senza rilievi nei confronti del procuratore di Arezzo - dice Zanettin - era chiaro, ed è una conclusione che smentisce clamorosamente i lavori condotti dalla prima commissione». Anzi, «il Primo Presidente (della Corte di Cassazione, ndr) ha dichiarato che la prima commissione nel caso in esame avrebbe svolto un ruolo inappropriato, di tipo investigativo. Stessa tesi esposta dai togati di Mi Pontecorvo e Galoppi».«In questi primi due anni di consiliatura - sottolinea Zanettin - mi sono concentrato prevalentemente in prima commissione, una sorta di sportello reclami per i cittadini». Al riguardo, «ho rifiutato di svolgere questa mia funzione in modo burocratico, limitandomi a leggere gli esposti, a chiedere informazioni ai capi ufficio che dicono sempre che tutto va bene, e poi ad archiviare. In questo, come in altri casi, ho chiesto di andare a fondo o, come ha detto il Primo Presidente, di "investigare": ho sbagliato? non credo».È amareggiato Zanettin. «La credibilità del Consiglio superiore della magistratura dipende anche dalla serietà del lavoro della prima commissione. Non possono essere avallate ambiguità, reticenze, opacità dei magistrati chiamati in causa nei singoli esposti. Se si vuole evitare l’accusa di “autoreferenzialità”, che spesso viene rivolta a questo Consiglio, non si possono voltare le spalle per guardare altrove quando emergono situazioni poco chiare». Prosegue il laico di Fi, «se i fatti sono quelli che risultano al termine dell’istruttoria, bisognava avere il coraggio di proporre il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale di Rossi, e non limitarsi alla trasmissione degli atti alla Procura Generale». Infatti, «ritengo la credibilità e l’immagine dell’attuale procuratore della Repubblica di Arezzo, a seguito di quanto denunciato dalla stampa ed accertato nel corso dell’istruttoria, definitivamente compromesse. Ricordo che nel corso di pubbliche manifestazioni vengono esposti cartelli con critiche ed ironie nei suoi confronti; è fatto anche oggetto di una quantità decisamente anomala di esposti, alcuni anonimi, altri firmati e più dettagliati». Sulla base di ciò, «avevo predisposto e discusso una articolata proposta di trasferimento per incompatibilità ambientale. Per evitare “spaccature” in commissione, avevo anche accettato di ritirare questa mia proposta di trasferimento e di votare il testo della delibera originaria (che “stigmatizzava” duramente l’operato di Rossi, ndr)».Ma anche questa soluzione non è andata bene. Alla fine, al procuratore di Arezzo, il Csm ha solo “rimproverato” di non aver pensato di rinunciare all’incarico di consulenza presso la Presidenza del Consiglio quando cominciò a indagare su Banca Etruria di cui era vice presidente Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme. E di essersi autoassegnato i relativi fascicoli, coinvolgendo nelle inchieste i suoi sostituti solo dopo le sue audizioni davanti al Csm, quando la vicenda era ormai esplosa sui giornali. La classica “tirata d’orecchie”.