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Torture e abusi negli hotspot italiani. A denunciare la situazione di queste strutture volute dalla Commissione Europa è Amnesty International con un dettagliato rapporto di 60 pagine dove analizza le responsabilità concrete dell'Italia e quelle politiche dell'Europa. Il dossier analizza le conseguenze delle tre missioni degli hotspot: la raccolta obbligatoria delle impronte digitali, lo screening immediato per stabilire le necessità di protezione e separare migranti irregolari da richiedenti asilo, e l'applicazione del rimpatrio forzato in paesi d'origine dove queste persone sono "a rischio di persecuzione o tortura". Le informazioni presentate in questo documento - viene premesso nel dossier - sono state raccolte da rappresentanti di Amnesty International durante il 2016, attraverso quattro visite a diverse città e centri di accoglienza in Italia: Roma, Palermo, Agrigento, Catania e Lampedusa (marzo), Taranto, Bari e Agrigento (maggio), Genova e Ventimiglia (luglio), Roma, Como e Ventimiglia (agosto).Alcune informazioni sono basate su precedenti visite in Italia, comprese quelle ai centri di accoglienza di Lampedusa e Pozzallo a luglio 2015. Durante queste visite, Amnesty International ha intervistato 174 rifugiati e migranti e ha avuto conversazioni più brevi con molti altri. Le interviste hanno avuto luogo in centri di accoglienza che hanno la funzione di hotspot (Lampedusa e Taranto), in altri centri di accoglienza gestiti dalle autorità italiane o da Ong (inclusi centri di accoglienza a Ventimiglia) e anche fuori da queste strutture, in particolare a Roma, Ventimiglia e Como. La maggior parte delle interviste è stata fatta a uomini, rispecchiando lo squilibrio di genere tra rifugiati e migranti, tuttavia sono stati intervistati anche donne e minori non accompagnati. Amnesty International ha parlato con persone di almeno 10 diverse nazionalità, tuttavia questo rapporto cita esplicitamente solo i casi di alcune delle persone che hanno riferito ad Amnesty International di aver subito gravi violazioni dei diritti umani ? e queste provengono principalmente dal Sudan e, in quantità minore, da Eritrea ed Etiopia. Sono state rimosse con attenzione le informazioni che potessero rivelare l'identità dei singoli rifugiati, richiedenti asilo e migranti, per rispettare la loro riservatezza e non pregiudicare la loro sicurezza personale o procedure d'asilo in corso. A marzo, Amnesty International spiega che ha incontrato il capo del dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione presso il ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone. Durante le visite agli hotspot di Lampedusa e Taranto, così come ad Agrigento e Ventimiglia, i delegati di Amnesty International hanno anche ottenuto informazioni dalla polizia e da altri funzionari operanti in tali città. Amnesty International ringrazia questi funzionari per la loro disponibilità, e tuttavia esprime rammarico per il fatto che il direttore centrale per l'immigrazione e la polizia delle frontiere del ministero dell'Interno, prefetto Giovanni Pinto, il cui ruolo è centrale in questo ambito, non abbia potuto rendersi disponibile per un incontro con Amnesty International e non abbia risposto alla lettera che l'organizzazione gli ha inviato a giugno 2016, chiedendo informazioni su screening e iter al quale sono sottoposti i nuovi arrivati. Durante l'anno, Amnesty International ha inviato due lettere al ministro dell'Interno, On. Angelino Alfano, esprimendo preoccupazione in relazione ai risultati provvisori della ricerca e chiedendo informazioni sull'uso della forza e della detenzione per il rilevamento delle impronte digitali dei nuovi arrivati e sulla riammissione di cittadini di paesi terzi, in particolare del Sudan. Il ministro Alfano ? dichiara amaramente Amnesty- non ha risposto ad alcuna delle lettere.Amnesty ha raccolto testimonianze shock di alcuni rifugiati e migranti i quali hanno dichiarato di aver subito torture per costringerli a dare le impronte digitali. Queste comprendevano accuse di pestaggi che hanno causato dolori forti, scosse elettriche tramite manganelli elettrici, e umiliazione sessuale e inflizione di dolori ai genitali. Alcuni hanno denunciato di aver subito duri pestaggi da parte di agenti di polizia, riferendo come questi avessero continuato a picchiarli per diversi minuti, infliggendo loro dolore con pugni, calci e manganelli. In un passaggio del rapporto si legge la testimonianza di Adam, un ragazzo di 27 anni del Darfur, sbarcato al porto di Catania il 26 giugno 2016 dove la polizia poi l'ha trasferito in autobus verso una stazione di polizia dove dovevano dare le impronte digitali. "Al piano terra c'era una sala di attesa, al primo piano l'ufficio per l'identificazione. Ci hanno portati lì tre persone alla volta. Non c'era un interprete, ci chiedevano solo di dare le impronte. Io ho rifiutato. C'erano sei poliziotti in uniforme. Mi hanno picchiato col manganello sulle spalle, al fianco e sul mignolo della mano sinistra, che da allora non riesco a raddrizzare. Sono caduto e mi hanno preso a calci, non so quante volte, per circa 10 minuti. Avevo paura".Altra testimonianza riportata dal rapporto è quella di Abker, 27 anni sempre del Darfur: "Ci hanno portati a uno a uno in una stanza dove c'erano almeno sette poliziotti, alcuni seduti alla scrivania. Nessuno parlava arabo. Poi mi hanno preso le mani per metterle sulla macchina. Mi sono ribellato e allora hanno cominciato a prendermi a pugni e a calci su tutto il corpo, per mezz'ora. Alla fine mi hanno preso le impronte digitali". Secondo Amnesty International anche i minori avrebbero subito dei pestaggi. Viene riportata la testimonianza di un ragazzino sudanese di 16 anni arrivato nella notte del 26 giugno 2016 in un porto del sud Italia, ma che poi è riuscito a raggiungere Torino, nel nord del paese, senza lasciare le impronte digitali. Tuttavia, alla stazione ferroviaria di Torino, la polizia ha fermato lui e l'ha portato in un ufficio di polizia all'interno della stazione ferroviaria. "Mi hanno chiesto di lasciare le mie impronte - racconta il ragazzino sudanese -, ma ho rifiutato. Ero solo con cinque poliziotti che mi hanno picchiato. Uno di loro mi ha dato un calcio sulla caviglia, con le scarpe della polizia che hanno la punta di ferro. Mi fa ancora male. Mi hanno dato pugni dappertutto e mi piegavano indietro le dita. Alcuni mi giravano le mani verso la macchina per le impronte, altri mi davano pugni".Sulla vicenda si registra la smentita del prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento immigrazione del Viminale: «Che le forze di polizia operino violenza sui migranti è totalmente falso. Sono rimasto sconcertato nel leggere queste cretinaggini. Amnesty - ha aggiunto - costruisce i suoi rapporti a Londra, non in Italia».